Un cumulo di foglie

Spero sempre di trovare qualche risposta tra le righe dei libri che leggo e, se proprio non mi aspetto di risalire a qualcosa di definitivo o totalmente rivelatorio, almeno spero di raggiungere una sorta di imbeccata sulla direzione.

E a volte si trova, a volte no.

Non so.

Ultimamente leggo di questi personaggi in sospeso che fanno i conti con il passato e con la propria vita e mi chiedo quale sia la condizione ideale per una piena consapevolezza della propria esistenza, che immagino arrivi solo con la famosa livella, del resto quale momento migliore per avere coscienza della propria vita se non quando si sta per morire? Il colmo sarebbe scoprire che in realtà facciamo ogni cosa a cazzo, senza alcuna vera intenzione, senza sapere cosa cavolo stiamo facendo, che non c’è veramente niente nel senso totale del termine  e, cazzo, forse è veramente così.

Forse le cose non hanno veramente nessun senso.

Si accumulano sensazioni di attesa, di indefinito e di noia. Soprattutto tanta noia. Una noia imperante e diffusa che salva solo alcuni momenti in cui si riesce effettivamente a fare qualcosa, persino a ridere di gusto.

Bah.

Mi è capitato di camminare in un viale alberato da solo. Non c’era nessuno in giro. C’erano foglie ovunque a coprire la strada e in mezzo ad esse c’erano due passeri lontani l’uno dall’altro intenti a rovistare in cerca di cibo, suppongo.

E mi è venuto da pensare come sia possibile che anche in un deserto, a portata di vista, non ci si veda a vicenda.

10 pensieri su “Un cumulo di foglie

  1. In realtà credo siamo tutti immersi nella nostra “bolla di solitudine”,
    perciò anche se vicini, siamo pur sempre separati,
    da qualcosa di sottile, trasparente…
    ma pur sempre di una barriera si tratta!

  2. Gli unici problemi di comunicazione che ho o ho avuto nella mia vita hanno sempre riguardato interlocutori distratti. Altrimenti la mia comunicazione e’ talmente “efficace” che difficilmente non riesco a stabilire una connessione. O forse dipende dal fatto che so utilizzare la lingua giusta nei diversi contesti o con le diverse persone. Ho comunicato per mezz’ora con una vecchia lappone che parlava solo finlandese ed io parlavo con lei solo in italiano e ci siamo comprese. La comunicazione e’ un problema di volonta’. Per questo quando mi accorgo che all’interlocutore manca la volonta’ della comunicazione mi spacco i coglioni e smetto di parlare.

    • Anzi, se hai una buona dimestichezza con l’inglese, ti indico numerosi testi di linguistica di docenti di oxford. Sono i testi sui quali ho studiato e sono abbastanza illuminanti in quanto a comunicazione e stile.

    • Non mi stupisco di questa cosa.
      Ma non sono d’accordo sul fatto che sia un problema di volontà. Personalmente lo trovo un attimo riduttivo nei confronti di un aspetto che implica anche altre variabili.. il timido non manca di volontà, ha solo delle difficoltà..

      • Il timido ha il suo modo di comunicare, ma se chi si interfaccia con il timido ha volonta’ di comprenderlo, la comunicazione riesce. E’ un problema di volonta’. Se manca la volonta’ di uno dei due interlocutori non riesce la comunicazione. Cazzo sto scrivendo in un italiano demmerda, faccio casino con le lingue. Appena torno a roma ti indico 4 testi della madonna. Insisto sul fatto che sia un problema di volonta’. Il mondo si divide tra facce da culo e schivi.

        • Continuo a non essere d’accordo. In generale e anche nel caso specifico. E’ vero quello che dici ma, dal mio punto di vista, rimane il fatto che il timido ha difficoltà a comunicare a prescindere dalla sua volontà e indipendentemente dalle intenzioni dell’altro. Io li prendo come singoli e tu come un’entità unica. In generale perché la volontà non è sempre la risposta a tutto, a volte certe condizioni possono essere invalicabili. Nel senso, una volta persi i capelli, pur rivolendoli, difficilmente me li potrò far ricrescere..
          I titoli sono molto curioso e li aspetto.
          Pure qualche categoria in più, dai..

Secondo me....

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