Durante la Guerra di Indipendenza Irlandese (svoltasi dal 1919 al 1921) il medico Damien O’ Donovan (Cillian Murphy) decide di lasciare l’isola smeraldo per trasferirsi a Londra. Poco prima di partire però, a seguito di un violento controllo da parte dell’esercito inglese, un suo amico viene pestato a morte e, come se non bastasse, dopo poco alla stazione del treno assiste anche ad un sopruso da parte dei militari invasori. A questo punto cambia idea sul trasferimento e decide non solo di restare ma anche di aderire all’Irish Repubblican Army, ormai persuaso che la lotta armata per l’indipendenza sia la sola via per la libertà. Si unisce quindi alla brigata comandata dal fratello Teddy (Padraic Delaney) il quale organizza una rappresaglia per la morte del ragazzo e….da qui in poi è meglio guardare il film.
Solo un uomo come Ken Loach, cineasta politicamente impegnato, da sempre vicino alle tematiche sociali, sensibile alle battaglie degli emarginati e degli ultimi della società, avrebbe potuto raccontare così bene un pezzo di storia irlandese pur essendo un inglese di nascita.
Quello che emerge da sempre nella maggior parte delle pellicole di Loach è l’impegno forte e chiaro a dare voce a quegli strati di popolazione che una voce non l’hanno mai avuta e che gli eventi e le decisioni politiche le hanno sempre subite loro malgrado. Se in altre occasioni si trattava di proletariato urbano schiacciato dall’ingiustizia di una società soffocante, qui la vittima è un popolo intero che ha dovuto subire le prepotenze di un impero che sottometteva con la parola “colonia” o faceva inginocchiare nazioni sotto quella di “dominio” dopo aver massacrato con l’uso della forza.
L’atteggiamento è lo stesso, cambia solo il numero delle vittime.
In questo caso però la presenza della visione politica è molto forte e chiara nel giudizio del regista che emerge in maniera piuttosto evidente quando mette di fronte alle violenze subite dalla gente, alle faide fratricide, ad una guerra che porta morte al costo di prezzi altissimi in termini di umanità. La storia dell’Irlanda è la storia di tanti altri popoli vittime di lunghe umiliazioni prima di vedersi riconosciuti (ammesso e non concesso che allo stato attuale sia stato fatto) nella propria dignità. La storia dell’Inghilterra è la storia di tanti altri poteri forti che hanno provato con ogni mezzo a schiacciare l’identità delle persone. “Il potere è l’immondizia della storia degli umani” cantava Guccini nella veste di Don Chisciotte.
Il vento che accarezza l’erba, Palma d’oro a Cannes nel 2006, racconta un pezzo di storia con la consueta umanità di un regista che sa essere delicato quanto commovente e soprattutto privo di orpelli. Nei suoi film vive solo l’essenziale che si esplicita in una narrazione realistica e priva di pietismi o di gigioneggiamenti drammatici per arrivare alla lacrima facile. La telecamera di Loach riprende la realtà per quello che è, una realtà spesso sgradevole, ma autentica e senza rimaneggiamenti, che trova la sua preziosità nel valore intrinseco dato all’uomo e all’unicità della sua vita e dei valori per cui la spende. La sua narrativa non ha epopee eroiche ma sviscera il quotidiano in cui i veri eroi vivono all’insaputa di chiunque, anche di loro stessi, utilizzando un linguaggio visivo privo di ogni malizia e che sa stare nella storia con uno sguardo attento e presente.
Ottimi tutti gli attori ma menzione merita Cillian Murphy che, se in pochi potranno ricordarlo come il protagonista di 28 Giorni Dopo di Danny Boyle e alcuni lo avranno presente in Red Eye, tutti lo ricorderanno come “Lo spaventapasseri” nella saga di Batman di Christopher Nolan. Paradossalmente il passaggio dai film di Hollywood ad un film di Loach non sembra aver inficiato sulla riuscita finale e sull’interpretazione dell’attore irlandese che è molto calato nella parte e rimane nel suo ruolo senza eccedere o senza mettersi in mostra, come se non fosse la sua interpretazione il vero fulcro (a differenza di quanto avrebbero fatto molte primedonne narcisiste pur di mettersi brillare ad ogni costo sopra tutto e tutti) ma il film ed il suo messaggio di cui lui è solo un partecipante.
Se bisogna trovare un difetto a questo film è quello di aver approfondito di più la parte della guerra di indipendenza ed essere stato più sbrigativo per quanto concerne la guerra civile successiva ai trattati di pace ma, per il resto, è perfettamente in linea con il resto della produzione e con le aspettative.
Duro, disilluso, crudo ma anche sensibile ed emotivo: questo è il cinema di Ken Loach che, a distanza di anni, non smette mai di militare e portare agli occhi le colpe e le necessità di un mondo che alla fine dei conti chiede solo che siano raddrizzate le sue storture.
Giudizio in minuti di sonno: Iniziata la visione qualche anno fa e interrotta dopo i primi pestaggi (non per mia scelta) anche il secondo tentativo naufragò per gli stessi motivi. In una serata di buona predisposizione ho affrontato la visione in solitaria senza colpi di sonno tranne dieci minuti verso la fine.