Smise improvvisamente di scrivere al computer.
Il foglio virtuale era pieno di parole ma le sue mani erano sospese sulla tastiera quanto il suo sguardo fisso sullo schermo.
Fuori la notte era piena e silenziosa, ubriaca di solitudine.
Qualcosa si era interrotto nel flusso di pensieri, una frenata brusca senza un ostacolo.
Si alzò dalla sedia ed iniziò a rovistare in tutte le mensole gettando roba a terra, senza curarsi del disordine. Spostò libri, giornali e articoli andando a spulciare in ogni angolo delle librerie che occupavano le quattro pareti. Rivoltò i cassetti e sparpagliò il contenuto sul pavimento rivelando un accumulo di oggetti remoti. Foto sgualcite, piccoli giocattoli, portachiavi, biglietti del cinema, scontrini, forbici, monete straniere, vecchi preservativi, diversi cellulari passati e tanto altro. Erano tutti lì, ammucchiati sopra il tappeto su cui aveva appena inciampato.
Il riassunto nascosto di una vita.
Ma non aveva trovato quello che stava cercando.
Sapeva che l’aveva messo da qualche parte in quella stanza. Lo aveva tenuto da quando qualcuno lo aveva dimenticato nella sua macchina.
Ispezionò ogni potenziale nascondiglio della stanza fino a ritrovarlo, seppellito in fondo in fondo al cassetto vicino alla finestra.
Un pacchetto morbido di sigarette.
L’accendino che gli avevano regalato gli amici era uscito fuori prima ed era già nella tasca della tuta.
Lasciò entrambi sulla scrivania e si avvicinò alla vetrinetta.
Si riempì un bicchiere abbondante di Jura e andò in cucina per aggiungervi del ghiaccio. Ritornato nel suo studio lo poggiò a fianco della tastiera del computer e si sedette.
La fiamma gli illuminò il volto mentre inspirava per accendere la sigaretta.
Subito diede due colpi di tosse.
Non fumava da vent’anni.
Riprese a fissare lo schermo con le mani immobili sopra i tasti, in attesa di pescare le lettere per proseguire.
Il fumo si diffondeva in piccole nuvole grigie le quali, costituita una piccola coltre intorno al suo volto, presero ad irritargli gli occhi.
La sigaretta gli cadeva all’angolo della bocca mentre con calma dava boccate senza prenderla tra le dita.
Il primo residuo di cenere cadde sulla superficie liscia della scrivania ma non si premurò di pulirla.
Distolse lo sguardo dal computer per guardare l’etichetta della bottiglia dietro al vetro del mobile.
Gli occhi presero ora a lacrimare.
Focalizzò anni di cene passate a chiedere ogni volta “Come è andata la giornata?” senza che nessuno si interessasse poi di chiedere come fosse andata la sua di giornata, cosa avesse fatto, cosa fosse successo nella sua vita in generale, il motivo di quell’espressione triste o, più raramente, felice.
Si appoggiò allo schienale della sedia inspirando profondamente e lentamente con la bocca.
Sospirò fumosamente, increspando la labbra, poi spense la sigaretta sul legno e la gettò dentro il bicchiere ancora pieno di whisky.
Lo avrebbe buttato via più tardi, una volta terminato di scrivere.
Lascia un interrogativo; perché agli interlocutori non importa come sta? o perché lui percepisce questo?
Bella prova. 😉
Un’ottima osservazione.. 🙂
Immagino dipenda da come lo interpreta chi legge.. Forse non se ne sono mai interessati e basta.. ma qual è stato l’effetto dell’essere costantemente ignorato su di lui?
Grazie per aver letto..
Quello credo sia palese: l’autodistruzione è sintomo di autostima distrutta.
Grazie a te per la condivisione.
🙂