Il Dottor Flores (Jean Reno), uno psichiatra che vive nella remota cittadina di Avechot, viene svegliato di notte per incontrare l’investigatore Vogel (Toni Servillo), fermato a seguito di un incidente. I due iniziano insieme a ricostruire i fatti che hanno portato l’investigatore in quelle zone, rivelando che l’uomo era stato mandato nel paese per indagare sulla sparizione della giovane Anna Lou. Noto per i suoi metodi non convenzionali, in particolare per l’utilizzo selvaggio dei media al fine di stanare i suoi sospettati ed indurli in errore grazie ad una gogna mediatica, Vogel aveva indirizzato i suoi sospetti verso Loris Martini (Alessio Boni) un insegnante di scuola prima che..e da qui in poi è meglio guardare il film.
Primo lungometraggio di Donato Carrisi il quale, nel suo esordio alla regia di un film, si cimenta proprio con la trasposizione cinematografica del libro di cui è autore.
Dal titolo e dalla presenza nel cast di Toni Servillo il primo impeto è stato quello di pensare ad un seguito collegato al film La ragazza del lago ma, in realtà, non c’entrano assolutamente nulla l’uno con l’altro, in quanto quest’ultimo era stato tratto dal romanzo di Karin Fossun, Lo sguardo di uno sconosciuto. Risolto questo equivoco, e quindi allontanato il sospetto che potesse trattarsi di una noia quanto mi sembrava di ricordare fosse stato l’altro film (quantomeno per il fatto di aver sempre dormito ad ogni tentativo senza ricordare niente di niente), è stato possibile approcciarsi con entusiasmo a questo film concludendo che, tutto sommato, alcune similitudini sembra averle, una noia leggermente accennata, tanto per cominciare.
La trama tutto sommato è avvincente e gioca su di un plot artificioso e improbabile ma non per questo non funzionale o interessante. La trovata relativa all’uomo della nebbia (di più non si può dire) è originale ma anche già vista perché qualcosa di simile mi era capitato di leggere in un Dylan Dog Gigante (e quindi a sua volta presa chissà da dove) ma, alla fine, arriva all’intento di coinvolgere a sufficienza. La regia soffre di alcune lentezze e penalizzazioni nello sviluppo che fanno pensare quanto la storia, probabilmente, funzionasse meglio sulla carta piuttosto che su pellicola mentre per tutto il resto, dal punto di vista visivo, il livello è buono, senza eccellenze e senza brutture, assolutamente valido per lo scopo che si era prefissato.
In generale qualcosa non sembra funzionare a dovere, come se non fossero state giocate tutte le carte a disposizione o se non si avesse voluto osare di più, rimanendo troppo sulla complicazione narrativa e meno sulle possibili graffiate laterali date dal personaggio di Vogel che, nonostante un Toni Servillo un po’ sopra le righe e non troppo convincente (senza che si voglia mettere in discussione la sua straordinaria bravura), avrebbe potuto avere interessanti potenziali critici. L’utilizzo dei media per stanare colpevoli è infatti molto originale e allo stesso tempo molto provocatorio se collegato alla situazione attuale in cui tutto passa attraverso l’estrema spettacolarizzazione di ogni frangente della vita, compresi gli aspetti più scabrosi che portano ad una morbosità malata da plastico di sangue giornalistico. L’estetica dell’apparire, traducibile nel più realistico “esibizionismo narcisistico“, della televisione sta prendendo sempre più una deriva disturbante e disturbata, in cui tutto passa attraverso i media e alla malsana esposizione al pubblico giudizio che, sempre più frequentemente, si eleva al ruolo di giudice seguendo processi sommari sempre meno oggettivi, al contrario, mossi da emotività priva di controllo e totalmente imprevedibile, poiché influenzabile dagli umori del momento.
Vogel sfrutta a suo vantaggio questi movimenti e li mette al servizio della “giustizia”, ma secondariamente evidenzia una società pericolosamente lontana dalla razionalità di processo.
Cast interessante, eppure nonostante il talentuoso Toni Servillo che spicca sempre per carisma e bravura (che questa volta pare appannato e meno brillante del solito) e un invecchiato Jean Reno (che si reinventa in ruoli molto più pensionati di quello dell’intramontabile Leon), chi veramente regala la prova migliore è Alessio Boni, solido fino alla fine del film e convincente più degli altri.
Niente di strepitoso e di particolarmente originale se non per i temi sollevati dall’investigatore Vogel, merita una visione, magari non al cinema.
Giudizio in minuti di sonno: Nonostante mi trovassi al cinema circondato da ebeti che si prodigavano in commenti dementi quanto inutili, da tecnoscemi incapaci di non farsi un selfie per più di cinque minuti o di evitare di accecare la sala con lo schermo del loro merdoso smartphone (senza perarltro guardare nulla), interrotto dal solito, inutile, intervallo per vendermi insipidi pop corn di merda con un chioschetto brillante di luci al neon quanto un’astronave aliena, sono riuscito comunque a dormire un 5 minuti in qualche frangente.