Mr. Lee (…Bruce, Lee..) è un maestro di arti marziali shaolin che viene avvicinato dal servizio segreto inglese affinché partecipi ad un torneo di lotta tenuto in un’isola vicina ad Hong Kong. Il vero intento però è quello di
fargli svolgere delle indagini a carico dell’organizzatore dell’evento, Mr. Han (Shih Kien), sospettato di traffici illeciti internazionali, il quale era anche discepolo dello stesso maestro di Mr. Lee ma divenuto poi corrotto. L’occasione è propizia anche per vendicarsi del bodyguard O’Hara (Robert Wall) che aveva ucciso madre e sorella di Mr. Lee. Tra i partecipanti al torneo si presentano anche John Roper (John Saxon) e Kelly Williams (Jim Kelly) due amici in fuga, uno dai debiti e uno dalla polizia razzista, che si ritrovano al torneo e..da qui in poi è meglio guardare il film.
Ultimo film girato per intero dal grande Bruce Lee (L’ultimo combattimento di Chen fu montato con spezzoni di altre pellicole) è considerato in maniera più o meno unanime un capolavoro del genere Kung Fu e con ottime ragioni.
L’unico vero difetto è nel doppiaggio italiano che, almeno nella parte iniziale, è semplicemente insopportabile. Il dialogo tra Mr. Lee e il suo maestro sembra la caricatura di due marionette cinesi che scimmiottano loro stesse e parlano rigide e legnose come il peggiore clichè sugli orientali. Il tutto a discapito di un dialogo, oggettivamente, per nulla banale o superficiale. Il risultato che ne consegue è quello che si otterrebbe se si decidesse di leggere ad alta voce, che so, Critica della Ragion Pura di Kant ma utilizzando la voce di Paperino: inevitabilmente l’effetto sarebbe quello di avere la netta sensazione di ascoltare delle stronzate e non dare alcuna credibilità ad un discorso sulla cui autorevolezza scritta credo non ci sia molto da obiettare (in generale, senza troppi pipponi filosofici).
Il risultato finale è che Lee e il suo maestro sembrano due dementi fatti di acido che dicono cazzate.
Tralasciando questa menomazione data perlopiù dall’uso di uno stereotipo trito e ritrito proposto nell’edizione italiana, quello che rimane è di innegabile pregio. La trama è irrisoria e non può essere altrimenti perché questo genere di film si guarda per le sequenze d’azione. Diversamente, per citare un mio ex professore universitario, sarebbe come comprare un calendario con le donne nude e poi lamentarsi che i giorni sono scritti in piccolo. Le ambientazioni hanno fascino e si coglie una certa attenzione non solo nelle location, negli aspetti visivi e di tensione ma anche nelle “coreografie” degli incontri di lotta che, i titoli di testa orgogliosamente ricordano, furono curate direttamente da Bruce Lee. Si respira molta compostezza e rigore anche se, in fin dei conti, si parla di gente che si spacca di pugni e di calci (il personaggio di O’Hara ne sa qualcosa) a riprova del fatto che si possono trovare dedizione e qualità anche in film che non siano necessariamente d’autore o intellettuali.
Epico lo scontro finale tra gli specchi anche se inevitabilmente si rimpiange il Chuck Norris di L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente.
Bruce Lee si presenta da solo, entrato ormai nella leggenda, non c’è molto da aggiungere a quanto già detto ovunque e da chiunque. C’è da spendere invece due parole sulla felice scelta dei comprimari, sia antagonisti che non, perché aggiungono charme alla pellicola impedendo il predominio totale dell’innegabile protagonista. Intanto John Saxon buca decisamente lo schermo, infatti non a caso vanta una filmografia estesa che comprende sia la partecipazione a diverse pellicole poliziesche italiane anni ’70 (Italia mano armata, Napoli violenta, ..) che all’horror cult Nightmare (nel ruolo del padre), ma non brilla per l’intelligenza tattica delle scelte. Ai tempi infatti preferì ricevere un compenso fisso piuttosto che una percentuale degli incassi che, al contrario di quanto aveva pensato, furono ingenti. Jim Kelly ha decisamente molta più personalità e presenza scenica ma questo non gli permetterà di andare oltre una manciata di pellicole tra cui Black Belt Jones, facente parte del genere blaxploitation. Robert Wall ha il suo perché, peccato il suo personaggio si riveli una clamorosa pippa. Per il resto, tutti adatti al ruolo che si chiedeva loro.
Il compianto Bruce si sentì male durante le riprese ma poi migliorò, tuttavia 3 mesi dopo quell’evento morì in circostanze mai completamente chiarite e che lasciarono adito a diverse accuse.
Se il genere Kung fu movie può non piacere, qui ci si trova davanti ad una pietra miliare del genere, interpretata da una leggenda, di ottima fattura, in qualunque modo la si pensi e con una grande dignità cinematografica. Certo, il titolo originale era Enter the Dragon che diventa appunto I 3 dell’operazione drago (mai nominata) e francamente Robert Clouse non mi pare sia proprio uno dei grandi nomi storici del cinema, ma non soffermiamoci..
Da vedere, se non altro per gli straordinari numeri atletici di Bruce Lee.
Giudizio in minuti di sonno: Svenuto pateticamente alla prima visione dopo nemmeno 5 minuti, anche durante la seconda subisco i contraccolpi del divano ma, dopo un assopimento iniziale, porto a termine la visione con infinito orgoglio.