Stepàn Arkàdič Oblònskij ha tradito la moglie Darija “Dolly” Aleksàndrovna con la cameriera di servizio nella casa (mi pare) e, al fine di ottenere una riappacificazione, chiama la sorella Anna Arkàdievna, da sposata Karenina, la quale giunge da San Pietroburgo per mediare tra i due. La donna non fa nemmeno in tempo ad arrivare alla stazione di Mosca che già un uomo muore sui binari del treno (per dire quanto il suo arrivo sia legato ad eventi piacevoli..). Contemporaneamente a Mosca arriva anche Konstantìn Dmìtrič Lèvin intenzionato a chiedere la mano della sorella di Dolly, Katerina “Kitty” Aleksandrovna Ščerbackaja, la quale però gli dà un sonoro due di picche perché infatuata dell’ufficiale Aleksej Kirillovič Vronskij. Quest’ultimo invece si innamora proprio di Anna che, rendendosi conto del sentimento nato nell’uomo, decide di tornare a casa dal marito e dal figlio. Vronskij però la segue in treno per poterla rivedere (“io viaggio per essere dove siete voi“) e dopo il loro incontro inizieranno una relazione che rivoluzionerà le rispettive vite.
Bisogna essere sinceri: tanto mi era piaciuto Resurrezione quanto Anna Karenina l’ho vissuto come una specie supplizio infinito disseminato di una noia massacrante. Con mio enorme spiacere si guadagna un posto d’onore tra gli indigeribili di sempre : Il tamburo di latta di Gunter Grass, Cuore di Tenebra di Joseph Conrad, La morte di Artemio Cruz di Carlos Fuentes ma non arriva al podio di primo assoluto, ottenendo solo una buona posizione nella top ten.
Senza dubbio si salva tutta la prima parte, avvincente e coinvolgente ma anche romantica, che tuttavia finisce per seguire l’esempio de Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, in cui l’inizio è veramente straordinario e poi trascina la vicenda per il resto del romanzo imperversando per pagine e pagine abbastanza superflue. In Anna Karenina lo stile è innegabilmente superiore ma il trascinarsi per pagine e pagine di cui sopra con avvenimenti non sempre importanti è abbastanza simile ed estenuante perché, fondamentalmente, non succede un cazzo di nulla. Quando ci sarebbe da fare attenzione perché le argomentazioni si fanno importanti, si è talmente rincoglioniti dalla logorrea che si finisce per perdersi completamente il tutto. Si sa, i russi sono grandi scrittori ma prolissi, molto. Anche Hugo si dilungava in minuziose ed eterne descrizioni da calci nei coglioni ma I Miserabili è da divorare e trascina dentro una storia eterna e travolgente, in Anna Karenina qualche leggero snellimento non sarebbe stato proprio così fuori luogo. Tipo la morte del fratello di Lèvin che, prima di spirare definitivamente, fa un paio di finte e si riprende momentaneamente per poi peggiorare, per poi migliorare, per poi peggiorare, ecc. .. Ecco, di fronte alla gratuità pedanteria della cosa (nello stile colpo di scena da horror) mi sono ritrovato a gridare da solo “E muori una buona volta, Cristo Santo!“.
Perché c’è un limite a tutto se si ha la pazienza di andarlo a cercare, il limite.
A scanso di tutto questo, oltre all’inizio, sono almeno altre due le parti da salvare.
Intanto la sequenza in cui Lèvin va a tagliare l’erba insieme ai suoi lavoratori. C’è in essa qualcosa di autentico, di visivamente reale ed evocativo che viene visualizzato nelle sue parole e che rimanda ad una dimensione quotidiana e terrena la quale, tuttavia, è pregna di significato. Come se in una serie di gesti si riassumesse un’intera esistenza, una visione che travalichi il mondo e la soggettività sintetizzandola in un’esperienza catartica e universale.
La seconda è il finale.
Non l’ultima parte, diciamolo, totalmente superflua ed inutile come gli ultimi 30 minuti de Il ritorno del re (al cinema mi ricordo che almeno tre volte avevo pensato fosse finito il film e altrettante volte mi ero alzato dalla poltrona..) ma in cui tutto avrebbe dovuto interrompersi: la morte di Anna sotto un treno (mi rifiuto di mettere un allerta spoiler su questo, dovrebbero già saperlo tutti). Il suicidio dell’eroina, che un po’ ci aveva mantecato i coglioni fino a quel momento con la sua morbosa gelosia, la rende improvvisamente umana e le fa fare un salto indelebile (letteralmente) nella storia della letteratura. E forse solo in quel momento si intuisce la bravura di Tolstoj che prima ci ha irritato con le lagne della sua protagonista per poi farci sentire in colpa per non averla mai realmente sostenuta, se non quando ci ha sbattuto in faccia le conseguenze estreme di un dramma consumato un po’ di sottecchi. Il dramma di una donna sposata che si innamora di un altro uomo e che per lui lascia tutto e, allo stesso tempo, perde pure tutto senza avere nulla in cambio. La sua posizione e la sua reputazione ormai compromesse la conducono sotto il giogo di una gogna ignobile, consumata nell’ipocrisia e nel silenzio, nelle parole dette alle spalle, nella corrispondenza impersonale di telegrammi, nei rifiuti che la portano a perdere ogni contatto con la realtà e con sé stessa. Indifesa e sola, sottoposta al giudizio di tutti e di una società che, alla fine, è indulgente con gli uomini ma non con le donne a parità di azioni, finisce per ritrovarsi in un vicolo cieco in cui avrebbe potuto capitare chiunque.
E in cui, a pensarci bene, molti sono finiti di recente quando sono divenuti il bersaglio in una medesima situazione anche se virtuale.
Non parliamo nemmeno degli uomini di questo romanzo, per la maggior parte figure non particolarmente edificanti, perlomeno nella cerchia di Anna..
Viene anche da dire “profetica la morte dell’uomo all’inizio del libro” ma altrove, in maniera molto più professionale, si parla giustamente di “chiusura della struttura circolare del romanzo”. Suggestive le interpretazioni cinematografiche del suicidio di Anna che integrano diversi aspetti senza mai essere totalmente aderenti alla descrizione del libro, salvo forse quella recente di Keira Knightley che, comunque, non riesce ad arrivare all’essenzialità espressiva di Greta Garbo: non fa nulla e dice tutto.
Del resto se Tolstoj è riuscito ad avere una corrente di pensiero che si ispirava alle sue idee ci sarà stato un motivo e non può che risiedere nei contenuti che rimandano ad una visione morale ben precisa e che emerge non solo nelle accuse rivolte alla società che giudica le persone, ma anche nella sua prospettiva pedagogica (“bisogna solo non rovinare, non deformare i bambini e allora sono incantevoli“) e sulle varie iniquità di cui non ci libereremo mai (“Ogni guadagno che non corrisponde al lavoro che vi è stato impegnato è disonesto“); massime che ancora godono di immensa attualità in un quotidiano in cui la speculazione, la finanza e i movimenti virtuali di denaro sono all’ordine del giorno.