Sherman McCoy è un affermato finanziere di Wall Street che ama definirsi uno dei “padroni dell’universo”, ovvero l’appartenente a quella ristretta categoria di persone che all’interno della finanza detengono potere assoluto. Grazie ai suoi ricavi economici Sherman possiede tutto quello che si possa desiderare: un appartamento costoso, una macchina di lusso, scuole di alto livello per la figlia piccola, una moglie e un cane che fanno tutto quello che vuole. Chiaramente non gli può mancare nemmeno una giovane amante, Maria Ruskin, con la quale si incontra regolarmente all’insaputa di tutti. Proprio dopo essere andato a prenderla all’aeroporto però, i due sbagliano strada e finiscono nel Bronx dove Maria, che era alla guida, investe un ragazzo afroamericano, spaventata per quello che le sembrava un tentativo di rapina. Fuggono senza prestare soccorso e decidono di far cadere il silenzio su quanto accaduto. Inizialmente la vicenda non sembra avere nessuna risonanza ma quando viene portata all’attenzione dal giornalista alcolizzato Peter Fallow iniziano a muoversi diverse persone intorno alla vicenda, attirate dalla risonanza politica e personale che possono ottenere smuovendo un sistema che porterà allo stravolgimento della vita di Sherman.
Romanzo stilisticamente ineccepibile.
Scorrevole, fluido, con una prosa priva di pesantezze o macchinosità da ego ipertrofico (per quanto, questo, sarebbe da vedere). La mente non rallenta, non si assenta durante la lettura perché non c’è quella ricercatezza elevata che, a volte, rende certa letteratura come un macigno sulle dita dei piedi. Quello che non sembra funzionare è la costruzione della trama che sembra eccessivamente dilatata rispetto alle 778 pagine di cui è composto. Il primo capitolo, che dovrebbe introdurre le agitazioni razziali, è confusionario e superfluo. I fatti principali avvengono praticamente subito dopodiché si finisce in un lungo corridoio di cui non si vede la fine all’interno del quale Wolfe getta le basi per presentare tutti i personaggi, le loro motivazioni e tutta l’architettura di legami che trovano sicuramente il loro senso di esistere in funzione del romanzo, ma che occupano quasi 500 pagine prima che accada finalmente qualcosa di realmente significativo.
Arrivare alla fine è un percorso lungo, per quanto facile.
Tom Wolfe non si affida a riflessioni o introspezioni ma al fattuale immediato, al fine di veicolare il ritratto di una società cinica, materialista e autoreferenziale nelle motivazioni di ogni suo attore. Il fatto grave, l’investimento di un ragazzo, non viene gestito per quello che è ma diviene solo il pretesto privato di ogni singolo protagonista, orientato esclusivamente a portare avanti il proprio discorso personale, per speculare in varie direzioni che possono essere quello di cercare notorietà, di cavalcare l’onda dell’indignazione per guadagnare potere, ottenere riconoscimenti e raggiungere le proprie ambizioni, alimentare tensioni razziali e così via. Un ragazzo è stato investito ma a nessuno frega nulla. O meglio, ad ognuno interessa solo la parte che gli può tornare utile. La realtà non solo è manipolabile ma è assoggettata al tornaconto di cosa conviene e di cosa non conviene dire.
Ed è questo il ritratto individualista e spregiudicato della società statunitense degli anni ’80, arrivista e piena di ipocrisie (discorso che comunque si può tranquillamente esportare in altre nazioni) che forse ai tempi della sua uscita fece molto più scalpore nell’andare a mostrare l’altra faccia di una medaglia che si guardava ostinatamente da un lato solo ma che ormai sa molto di trito e ritrito. Probabilmente perché dopo aver aperto il filone ci si sono gettati tutti a capofitto. Infatti il libro fu un grande successo (molto meno l’omonimo film di Brian de Palma tratto dal romanzo) che consacrò Tom Wolfe come scrittore, dopo essere stato giornalista. A lui si deve, per esempio, il conio del termine radical chic con cui ciclicamente qualcuno si riempe la bocca, quando non è piena di cibarie di ogni genere, probabilmente ignorandone l’autore e la provenienza.
Perché anche usare il termine radical chic ormai è radical chic.
Di per sé nulla di entusiasmante, eppure sia al trama che le tematiche hanno avuto la forza e l’impatto di entrare nella cultura popolare, basti pensare che, per esempio il numero 76 di Dylan Dog ” Maledizione Nera” prende abbastanza chiaramente ispirazione dal romanzo di Wolfe.
Sicuramente un libro da conoscere.