Brandon (Michael Fassbender) conduce una vita improntata esclusivamente al lavoro e al sesso. Schivo e riservato, evita qualunque tipo di relazione sentimentale e coinvolgimento emotivo concentrandosi in maniera compulsiva sul sesso occasionale, prostitute, masturbazione e chat erotiche con cui sfoga le sue pulsioni. Tanto è congelato lui quanto, al contrario, è una bomba emotiva la sorella Sissy (Carey Mulligan), che si trasferisce temporaneamente nel suo appartamento malgrado Brandon cercasse di evitarla. Quando una sera decide di andare finalmente a sentirla cantare, Brandon si commuove e inizia prendere contatto con qualcosa di seppellito che….e da qui in poi è meglio guardare il film.
Secondo lungometraggio del regista Steve McQueen, Premio Oscar nel 2014 con il film 12 Anni schiavo, Shame stupisce per la maturità visiva nella composizione delle inquadrature e per la narrazione basata esclusivamente sull’interpretazione attoriale e sulle immagini, a discapito di dialoghi scarni e ridotti oltre il minimo essenziale. Tutto, insieme alla scelta di una fotografia dalle tonalità fredde, rimanda alla glacialità emotiva del protagonista, un uomo completamente sconnesso dalle emozioni e dall’affettività calorosa che viene sostituita dal sesso compulsivo privato di ogni significato relazionale. Seppur sia inevitabile non pensare alla frase di Woody Allen “Il sesso senza amore è una esperienza vuota, ma nella sfera delle esperienze vacue, è una delle migliori!” almeno per qualche frangente, quello che fa da padrone è comunque la difficoltà enorme di un uomo ad entrare in contatto, non solo con il proprio vissuto, ma anche con quello del prossimo, se non attraverso una comunicazione che sia esclusivamente quella meramente corporea. Tale modalità, del resto, ha sempre funzionato almeno fino a quando sentire cantare la sorella non provoca in Brandon una commozione mai provata prima, la quale lo mette in contatto con un’affettività seppellita e negata, come qualità di calore aggiunto rispetto all’onnipresente seduzione. Brandon se ne accorge nel momento in cui si avvicina ad una donna le cui intenzioni vanno oltre il rapporto fisico
e che, probabilmente, lui stesso ricambia ma non è in grado di gestire e infatti non riesce a stare con lei. La scoperta di una sofferenza profonda e di una solitudine devastante, chiara agli occhi degli spettatori che osservano la vita di Brandon ma non a lui che la vive, lo conducono ad un punto di non ritorno in cui non potrà più esperire la vita nello stesso modo. Per quanto si butti a capofitto in un sesso sempre più promiscuo per placare le sue angosce, poiché era l’unico sistema che conosceva e che aveva funzionato fino a quel momento, la sua espressione facciale tradisce in ogni istante che la sua modalità di vivere non sta più funzionando e il dolore da cui disperatamente cerca di fuggire rimane come una consapevolezza che cambia indelebilmente il volto dell’esistenza.
In tutto questo la bravura di Michael Fassbender è veramente inarrivabile, riesce a rendere ogni mutamento interiore con la sola espressione del viso, con sguardi, ammiccamenti e con le movenze del corpo: impressionante. Specialmente perché, pensando ad altri ruoli come quello del malvagio Edwin Epps in 12 Anni schiavo, è come se quello che rimane di ogni sua interpretazione fosse la scia del personaggio che ha creato, il quale è completamente staccata dal suo essere attore. A differenza di altri interpreti arcinoti in cui il meccanismo mentale finisce per essere qualcosa del tipo “ho visto Brad Pitt che interpreta Achille”, con lui accade invece “ho visto uno spietato schiavista interpretato da Michael Fassbender”. Ha, dalla sua parte, la fortuna di non avere un volto indimenticabile come altri che, quindi, fa passare il “personaggio attore” in secondo piano rispetto al “personaggio cinematografico”. Ed è qualcosa di prezioso nella valorizzazione di un film se unita alla capacità unica di immedesimazione che possiede. Non è da meno la coprotagonista Carey Mulligan che si dimostra decisamente molto versatile nello spettro di colore dell’interpretazione e credibilità della stessa, specialmente se paragonata alla sua prova in Drive, in cui si
trova su di un versante opposto a quello di questo film. Buone prove anche quelle di James Badge Dale e Nicole Beharie seppur a loro non sia stata richiesta una grande prova attoriale. A prescindere dall’alto livello non è nemmeno trascurabile il contributo registico nella valorizzazione spontanea del materiale umano da parte di McQueen il quale si muove molto bene con la macchina da presa tra inquadrature ricercate, luci e un’emotività soffocata, la quale non è altro che lo specchio del suo protagonista e che obbliga a leggere oltre i dialoghi, scrutando nei silenzi e nelle atmosfere. La sua maggiore vittoria è quella di riuscire a trasmettere tutta la disperazione e la sofferenza di un uomo nel contesto di una scena di sesso a tre che facilmente avrebbe potuto spostare l’attenzione sugli aspetti erotico-fisici e invece rimane nel contesto di comunicazione che sceglie: la solitudine.
Detta in altri modi, per far cogliere la solitudine di un uomo mentre sta scopando con due donne senza permettere che ci si distragga dalla sessualità, bisogna essere dei veri maestri e significa aver fatto un centro pieno.
Tutto quello che rappresenta una nota di pregio rispetto al film, d’altro canto rischia anche di rallentarlo e appesantirlo nella fatica di dover provare a scavare nelle immagini, ma è comunque un’operazione necessaria e in linea con gli intenti.
Notevole, originale e molto ben realizzato, da vedere.
Giudizio in minuti di sonno: Trovato il film citato come esempio di personalità controdipendente in un ottimo libro di psicologia, mi cimento con la visione che richiede un secondo tentativo all’interno della stessa serata perché durante il primo arrivo praticamente alla fine dell’ora iniziale con la sensazione di aver perso qualcosa. Per una qualche imprevedibile forma di casualità mi sono appisolato sempre nei frangenti in cui appariva la sorella e quindi non l’avevo mai vista!
La seconda visione integrale risolve tutte le questioni.