Non ha un nome preciso

Non ha un nome preciso.

E’ una sorta di malinconia che ogni tanto ticchetta alla mia porta. Ultimamente ci vediamo così di rado che è quasi un piacere aprirle. Mi ricorda chi ero e forse chi sono ancora. Nascosto dietro a questi muri di indifferenza.

Mentre vago per casa nelle interruzioni in cui non suono la chitarra o cazzeggio confuso (si, perché non riesco a capire cosa ho voglia di fare e quindi alterno tante attività in maniera piuttosto inconcludente) mi interrogo sul significato del silenzio.

Mi dico che è pieno perché non sempre ci devono essere parole da pronunciare, ma so che è allo stesso tempo anche vuoto.

Mancano le voci che danno consistenza, calore e colori alle emozioni. Lo sguardo di chi è felice di vederti.

Si rimane da soli con le proprie scelte anche quando il mare sembra tutt’altro che rassicurante e non si ha la ben che minima idea di quale sia la direzione da prendere. Di certo sono molto più fastidiose le decisioni da parte di altri che ho dovuto subire ma, anche in questo caso, dopo un po’ è inutile continuare a dimenarmi. Rischio solo di finire ancora più impantanato.

Sono l’indecisione, l’insicurezza e tante altre voci che invece trascinano a fondo.

Prima di tutte, la mia.

Se non fosse passato così tanto tempo e se l’esperienza, i fatti, non l’avessero smentita più e più volte mi ritroverei nuovamente a pezzi.

Non che quella voce ora taccia ma semplicemente quello che dice non fa male come una volta.

Perché da qualche parte sembra sia diventato possibile rispondere “Ma che cazzo dici? Non è vero. Le cose non stanno così.“. Ora è possibile difendermi. Se non sempre, di certo con maggiore frequenza rispetto a prima.

Anche quando mi sento vulnerabile ed in campo aperto.

Non capita più di farmi travolgere come accadeva anni fa. Non sempre me la passo bene ma, anche quando sembra tutto buio, porto in mano una piccola candela con su scritto “andrà bene” di cui devo ringraziare un amico e che finirà sulla mia pelle.

La certezza che prima o poi troverò la strada non si spegne.

Per ora, poi chissà.

Del resto non sono mai stato un ottimista. Anzi, lontanissimo dall’esserlo. Eppure permane un’insolita sensazione di fiducia che viaggia seduta a fianco sullo stesso sedile della paura.

Quella di non essere mai abbastanza, quella di non riuscire, la paura fomentata sempre dalla stessa voce. Parzialmente neutralizzata dai ricordi e da alcune certezze. Dalla consapevolezza di avere una forza. Dalla sofferenza di averla spesso soffocata, come se l’altro andasse protetto mentre io invece no.

…ma non ha un nome preciso.

5 pensieri su “Non ha un nome preciso

  1. Credi in te stesso sempre, credi nella tua esperienza, credi nell’amore e nella vita. Il resto lo farà il tempo❤️

  2. Paure che conosco bene, ce le ho impiantate in un’area del cervello di quelle read-only. Ma c’è anche, simile a te, una ingiustificabile sensazione che dice che ce la posso fare, e che una buona volta capiterà pure che sarò io ad appoggiarmi invece d’esser sempre il palo.
    Ce la possiamo fare,

    • Credo che questo significhi aver fatto un importante passo in avanti anche se c’è ancora da lavorare.
      Mi colpisce molto l’immagine del palo perché credo sia decisamente molto calzante e vada direttamente al nucleo di alcune questioni che mi riguardano.
      Sarà così.

Secondo me....

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