Dieci racconti, dieci narrazioni imprevedibili, di cui al termine di ognuna rimane solo un elemento: la storia. Fattore comune di ogni racconto è la crescita dell’individuo nel suo percorso verso l’invecchiamento, attraverso risoluzioni diverse e mai scontate. All’interno dell’esistenza dei protagonisti la banalità del quotidiano nasconde risvolti inaspettati, torbidi, violenti, tenebrosi: in ogni vita si intrecciano delitti, morte, lutti e sofferenze nascoste da un velo imperscrutabile che casualmente si discosta solo ogni tanto, per lasciar intravedere una bruttura da sempre presente, celata dietro la felicità apparente.
Premio Nobel per la letteratura 2013, Alice Munro, autrice canadese, è stata insignita del prestigioso riconoscimento in quanto “maestra del racconto breve contemporaneo” e, dal punto di vista stilistico, è senza dubbio inattaccabile. Ogni racconto, pur nella sua brevità, ha l’incisività strutturale di un romanzo e la stessa densità di contenuti. Se normalmente il racconto facilmente risulta essere la fotografia di un momento, in Troppa felicità la dimensione temporale si allarga accogliendo uno spazio molto più ampio fino a coprire in un frangente il significato dell’intero arco di una vita. La narrazione non è mai lineare e precisa ma segue un andamento dinamico temporalmente, con continui salti dal presente al passato, in una commistione che svela poco per volta l’imprevedibile dispiegarsi degli eventi. Alice Munro conduce all’interno di storie apparentemente normali e poi stupisce con l’irruzione di un dettaglio che stravolge i significati e ribalta la lettura della realtà portando sotto una luce spesso malvagia e meschina che non risparmia nulla ad una umanità solo apparentemente adeguata. In alcuni casi (Bambinate) l’immagine rivelatoria arriva come un pugno allo stomaco, cruda e cinica, in altri invece sembra che tutto rimanga irrisolto o pilotato dalla casualità.
Se non si può negare il talento letterario dell’autrice, d’altra parte lo stile finisce per oscurare l’aspetto più emotivo. Intenta a sorprendere con una storia che arrivi potente al lettore, lascia che le emozioni passino in secondo piano per una intrinseca asetticità che privilegia il colpo di scena, sempre efficace e riuscito, rispetto all’atmosfera che si respira, quella incontrabile in quegli autori i quali pare non parlino di nulla in particolare eppure lasciano con la sensazione di aver toccato delle corde profonde, letture esistenziali che cambiano lo sguardo. Questo non accade in Troppa felicità, ma si rimane senza dubbio sconvolti dal lato oscuro del mondo. Il distaccamento dal colore emotivo, a vantaggio dei soli avvenimenti, penalizza il ricordo della storia stessa. Infatti al termine della lettura è come se subentrasse una sorta di negazione che impedisse il ricordo netto, prediligendo al contrario proprio solo l’evento che segna il cambio. Di questi racconti si finisce per ricordare il delitto, la brutalità, l’indifferenza e non tutto il resto, come se tutta la struttura fosse costruita in funzione esclusiva di esso.
Ma non rimane altro ed è forse questa la pecca più grave, quella di non sopravvivere all’oblio.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
La Memoria è (anche) comprensione dell’impressione.
Parli poco ma quando ti esprimi dici sempre delle gran verità.