Louis Creed (Dale Midkiff) accetta di trasferirsi in una piccola città dei Maine a lavorare come dottore. Lo seguono la moglie Rachel (Denise Crosby), la figlia Ellie (Blaze Berdhal) e il figlio piccolo Gage (Miko Hughes) insieme al loro gatto Winston Churchill, abbreviato in Church. Appena arrivati fanno amicizia con il vicino di casa Jud (Fred Gwynne) il quale, dopo aver salvato Gage da un investimento, li avverte rispetto alla pericolosità della strada che divide le rispettive case perché molto trafficata di camion che sfrecciano ad alta velocità. Successivamente li conduce al cimitero di animali adiacente alla casa dei Creed, tutti morti per la maggior parte su quella strada. Louis durante il lavoro si trova poi a tentare di soccorrere un ragazzo con il cranio sfondato investito da un camion che, improvvisamente, si rianima e gli parla prima di spirare definitivamente. La notte stessa però gli riappare in sogno per avvertirlo di non andare oltre il cimitero degli animali. Quando Church viene investito, Jud dice a Louis di prendere il corpo dell’animale e seguirlo oltre gli alberi che delimitano il cimitero e…da qui in poi è meglio guardare il film (ma leggere il libro forse è meglio).
Film tratto dal libro Pet Sematary di Stephen King, di cui la versione inglese aveva mantenuto il titolo originale, opzione possibile anche in italiano solo evitando qualunque tipo di traduzione perché sarebbe stato difficile mantenere il gioco fonetico (Cematary e Sematary si pronunciano allo stesso modo, mentre il corrispettivo sarebbe stato difficile da rendere senza cadere nel ridicolo perché non c’è modo di ottenere lo stesso suono sostituendo la prima lettera [Cimitero, dimitero, limitero, bimitero, ecc.]) motivo per cui si è optato per il più “suggestivo” ma vagamente fuorviante “Cimitero vivente“.
A detta di molti fan, come ogni volta in cui si presenta la questione, il libro è sicuramente migliore anche in luce di alcune differenze che, se possono essere approfondite in un libro di oltre 400 pagine, rischiano invece di incartare un film e renderlo troppo complicato per il tempo a disposizione del suo sviluppo. Ogni elemento deve avere il suo momento ed il giusto respiro altrimenti si butta tanta carne senza aver modo di cuocerla a dovere. Dal punto di vista del ritmo e della tensione è piuttosto noiosetto. Delude parecchio, non coinvolge pur attestandosi in una posizione di dignità simile a quella di tanti altri film dell’horror a lui contemporanei. Chiaramente fiacco, monotono e ripetitivo cerca vanamente di impressionare con qualche effetto speciale mentre, al contrario, le scene che colpiscono sono proprio quelle che non giocano sul disgusto ma sulle immagini e sull’atmosfera.
Le debolezze non sono nella storia in sé di cui si sente tutto il fascino librico e la potenza narrativa ma nella sua realizzazione visiva cinematografica che la impoverisce di elementi affascinanti e degli aspetti di immaginazione ed immedesimazione. Si assiste ad uno spettacolo reso innocuo e privato di tutta la sua energia espressiva rispetto alle potenzialità contenute nella trama. Non c’è inquietudine ma solo avvenimenti che rimangono sempre sulla stessa soglia di attivazione blanda senza mai accentuarsi o riformularsi.
Fondamentalmente i motivi per guardare Cimitero Vivente, a distanza di quasi trentanni, sono solo due: essere un fan di Stephen King e di conseguenza aver voglia di vedere il film preso da un suo cult oppure essere fan dei Ramones che hanno contribuito alla colonna sonora con Sheena is a punk rocker e con Pet Sematary, quest’ultima scritta appositamente per il film. Canzone che, peraltro, trattandosi di tema horror avrebbe potuto tranquillamente essere scritta dai Misfits ma fu King stesso a coinvolgere i Ramones in quanto loro fan.
Diversamente è meglio astenersi e leggere il libro.
Regia decente ma anonima di Mary Lambert che non si è mai distinta per nulla in particolare tranne forse nell’ambito televisivo in cui sembra molto più prolifica che in quello cinematografico. Cast semplicemente funzionale alla storia, non sempre credibile e a volte ceroso e finto. L’unico vagamente sopra la media è Fred Gwynne nonostante il pesante accento del sud che lo rende a tratti difficile da seguire (nella versione originale) ma che dopo qualche anno parteciperà a Mio cugino Vincenzo nel ruolo del giudice Chamberlain Haller portando a casa un’interpretazione degna di nota, ironica e divertente, per un film che diede l’Oscar alla miglior attrice non protagonista a Marisa Tomei. Già, proprio a lei. L’altro ruolo ben riuscito è quello di Victor Pascow, interpretato simpaticamente da Brad Greenquist. Nel film appare anche in un piccolo cameo lo stesso Stephen King nel ruolo di un prete.
Consigliato solo a chi vuole vederlo a tutti i costi per una qualunque forma di curiosità o interesse derivata dalle più disparate motivazioni, astenersi tutti gli altri. O, in alternativa, aspettare l’uscita del remake prevista nel nord america per Aprile 2019 e sperare in meglio.
Giudizio in minuti di sonno: Con questo segno una tripletta di film guardati senza quasi dormire e visti tutti al primo colpo. Incredibile, anche se questo è stata questione di una domenica pomeriggio.