Se non parli è meglio, preferisco.

Soprattutto se non sei in grado, per un attimo, di ascoltarmi fino alla fine senza emettere in automatico un giudizio prima di avermi lasciato terminare.

Non pretendo che il mio punto di vista diventi il tuo e nemmeno che lo condivida, ma che lo rispetti e che non mi giudichi, invece, lo esigo senza mezzi termini. Nel momento in cui dico “mi sento così” non esiste motivo al mondo per cui tu possa dirmi “non è vero”. Puoi raccontarmi tutto quello che ti pare per convincermi del contrario, secondo quello che TU vedi, che non riesci a cogliere o che non capisci, ma non puoi, in nessun modo, dirmi come mi devo o non mi devo sentire.

Se quelle sono le mie emozioni non ci posso fare nulla.

Tranne, forse, provare a capirle.

Se sento dolore non puoi dirmi “non hai motivo di sentire dolore”. Le tue parole non sono magiche, non lo faranno sparire. Il dolore sarà sempre lì anche se TU lo ritieni immotivato. Purtroppo c’è e lo sento, anche se ancora non ne capisco le origini. Tu invece stai solo negando il mio vissuto perché per TE è difficile da gestire quasi quanto provare a starci dentro senza, forse, stare male anche tu.

Se mi guardassi ti renderesti conto che mi fa soffrire. Dicendomi che non ha senso mi stai togliendo dignità. E basta. Minimizzi e mi fai sentire ridicolo per aver sofferto quando, secondo te, non avrei dovuto.

Forse è a te che fa paura il dolore e non lo vuoi affrontare. Te lo sei mai chiesto?

Al momento, ancora non ce l’ho fatta a superare gli ostacoli. Ma se sto provando a fare il possibile, sto facendo di tutto per riuscire, da dove ti viene l’idea di infierire perché, secondo te, “ho bisogno di essere spronato”? Chi lo ha detto? Te l’ho chiesto io?

Non mi stai spronando, mi stai solo facendo sentire inadeguato. Quando sei terra, dovresti saperlo, non hai bisogno di qualcuno che ti calci per darti la spinta a fare un centimetro in più, perché ti troveresti sempre a terra, poco più là e pure dolorante, ma hai bisogno di qualcuno che abbia fiducia nella tua capacità di rimetterti in piedi.

Se pensi che io debba essere spronato a calci è perché, in fondo, non pensi ce la possa fare da solo e magari credi pure che sia un po’ pigro. Questo è quello che mi stai dicendo indirettamente con quello che TU chiami “spronare”.

Se ti dà così fastidio forse è perché TU, al mio posto, non sopporteresti di stare a terra. Ti senti fragile ogni volta in cui vedi qualcuno che è momentaneamente fragile?

Essere triste non è contagioso e nemmeno una malattia. Soprattutto esserlo in un determinato momento non vuol dire esserlo per sempre.

Se mi dici che devo correre subito, invece di provare a capire cosa mi è successo quando sono caduto, stai usando i tuoi tempi e le tue modalità.

I miei tempi non sono i tuoi tempi, mettitelo in testa.

Se sono a terra, qualcosa non ha funzionato per il verso giusto.

Rimettermi immediatamente a correre, prima o poi, mi farà cadere di nuovo per lo stesso motivo. Perché, forse ti sfugge, io non ho mai perso la voglia di correre. Un errore irrisolto mi incastrerà ogni volta negli stessi tranelli. Se scatto forse riesco a distanziarlo ma, se non lo risolvo, mi raggiungerà e mi farà cadere di nuovo: così come si è già ripresentato, si ripresenterà.

Sai perché?

Perché invece di fermarmi un attimo a capire cosa non stava andando nella mia vita, ogni volta ho preferito chiudere gli occhi e correre come un deficiente prima ancora di capire dove volessi andare.

Fallo TU, se con te ha funzionato.

Cadrò ancora, certo, ma non sarà più per quel motivo.

Credo si chiami crescere, ma tu che sei così esperto lo saprai meglio di me.

No, non voglio che tu mi compatisca.

Non ti chiedo di compiangermi perché sto male o sono in difficoltà. Non me ne faccio niente di qualcuno che sta peggio di me per la mia situazione e me la fa sembrare ancora più buia. Ti chiedo di provare a comprendere il mio disagio e guardarlo dal mio punto di vista senza sentire la necessità di darmi una risposta e senza giudicarmi.

Difficile, eh, quando si ha sempre la risposta pronta prima ancora di aver capito dove si trovi l’altro?

Non ci crederai, ma le risposte le ho già, le vedo senza bisogno di sentirmele dire da te, cosa che, peraltro, non me le fa sembrare più reali o momentaneamente meno difficili da praticare…

Credi sia così semplice mettere in pratica quello che si dice a parole?

Io non credo. Ci vuole del tempo. Darmi la soluzione non risolve il problema. Dirmi che la lunga equazione che mi trovo davanti ha come soluzione 5, ammesso che sia veramente così, non mi risparmia di dover, comunque, fare tutte le operazioni necessarie per arrivare alla fine. E poi, chi lo sa se la tua è la soluzione giusta. Magari hai sbagliato i calcoli, forse l’equazione è diversa e non te ne sei accorto oppure, per esempio, 5 non è la soluzione di quello che ho davanti!

Forse la soluzione è “panino al salmone”, “Tapiro albino” oppure “Isola di Pasqua”.

Allo stesso modo delle soluzioni, non so cosa farmene dei consigli su cosa devo o non devo fare. Valgono quanto le soluzioni. Spetta a me decidere per la mia vita, non a te. Quello che è meglio per te non lo è necessariamente per me.

Se poi ti chiedo di non darmi consigli e dici che me li dai ugualmente, chiediti quanto stai rispettando il mio limite personale e quanto tu non sia stato prepotente nell’oltrepassarlo, imponendo qualcosa che ti ho chiaramente detto di non volere. Non è questione solo dei consigli, vale per ogni limite.

Le “buone intenzioni per indirizzare al meglio”, se così vogliamo chiamarle, passano sopra la volontà dell’altro? Credo che qualcuno (forse anche molti più di uno) abbia usato lo stesso ragionamento per giustificare atti violenti di “rieducazione” dell’altro che, poverino, non era consapevole e andava reindirizzato sulla “giusta strada”…

Piuttosto condivi la tua esperienza, fatti vedere umano, poi deciderò, rispetto a come sono, cosa potrò provare a fare.

Il lato positivo? Credi che non lo abbia mai visto? E sulla base di cosa? Ti ha sfiorato l’idea che a me, in questo momento, del lato positivo non me ne freghi un cazzo perché non è quello il punto in cui sono? Se uno perde la casa gli ricordi che è ancora vivo?

Stai solo spostando l’attenzione dal suo problema e, nuovamente, stai minimizzando il suo vissuto.

Non ti confondere. Non dico che bisogna adagiarsi a fermentare e crogiolarsi nel dolore e nella disperazione.

Se sono davanti alle mie macerie, non dirmi di guardare l’albero del giardino che invece è rimasto in piedi, non mi interessa nulla di quell’albero e non me ne faccio niente. Neanche se dovessi usarlo per farci una casa di legno perché forse non mi basterebbe e, magari, in una casa di legno, cazzo, non ci voglio stare!

Soprattutto, se mi fai guardare altrove finché sei con me, quando te ne sarai andato mi ritroverò a guardare nuovamente le mie macerie, ma questa volta da solo, senza conforto. Non è peggio?

A chi di noi due faceva più paura guardare quelle macerie?

Vuoi aiutarmi?

Guardale insieme a me, non mi giudicare, ascoltami, accetta come mi sento e prova a capire cosa sto provando senza crollare, minimizzare, scappare, negare, rifiutare, infierire o distrarmi perché anche quello che a te non piace ha diritto di esistere.

Altrimenti, se non parli è meglio, preferisco.

Secondo me....

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