L’insulto – Ziad Doueiri

Durante i lavori di ristrutturazione per le strade di Beirut il capocantiere palestinese Yasser Abdallah Salameh (Kamel El Basha), dopo aver subito le resistenze allo svolgimento dei lavori del meccanico cristiano libanese Toni Hanna (Adel Karam), finisce per insultarlo. Indignato, quest’ultimo pretende insistentemente delle scuse al punto di portare la questione in tribunale. Laindex tensione tra i due, però, diventa sempre più una questione nazionale che fomenta vecchi rancori tra popoli dalle difficili relazioni e…da qui in poi è meglio guardare il film.

Candidato al Premio Oscar 2018 come Miglior Film Straniero e ai David di Donatello 2018 nella stessa categoria, alla fine ha vinto solo il premio alla Miglior interpretazione maschile alla 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2017.

L’insulto si presenta senza ombra di dubbio come un buon film, almeno nelle intenzioni e nei contenuti ma, nonostante diversi chiari elementi di pregio, a tratti sembra risentire di qualche minima forzatura al buonismo e al messaggio didascalico che lo rendono artificioso in alcuni passaggi.

La parte relativa al messaggio che il regista vuole mandare è assolutamente funzionale perché, grazie ad una sceneggiatura ben orchestrata e con l’aiuto di interpretazioniimagesv molto ben calibrate, si viene abilmente indirizzati a sviluppare alternativamente simpatie per le due fazioni, in maniera molto opportuna, nel momento in cui è necessario arrivare efficacemente al nucleo comunicativo principale. Ziad Doueri gioca con lo spettatore facendogli prendere le parti in maniera molto emotiva senza lasciar trasparire i futuri cambi di fronte (che pur si possono presagire in un qualche modo) affinché arrivi chiara l’idea che le persone sono tutte uguali e accomunate da tragici vissuti di sofferenza, in cui assumono alternativamente il ruolo della vittima o del carnefice per motivi che non hanno necessariamente a che vedereimagese con le disposizioni d’animo. Gli uomini sono il loro vissuto, la loro storia, i loro ricordi e anche tutte le appartenenze che ne costruiscono l’identità in maniera indissolubile al punto, spesso, da creare confini di separazione tra membri di gruppi differenti i quali, diversamente, se presi singolarmente, si scoprirebbero molto simili.

E’ la storia del mondo e delle sue popolazioni che portano avanti antichi rancori su cui si costruiscono imperituri pregiudizi negli anni a venire, nati da vecchi o recenti scontri, in cui si mescolano l’esperienza personale, quella di gruppo e la generalizzazione.indexe Le tensioni tra i vari popoli, in questo caso palestinesi e libanesi ma potrebbe essere la storia di tanti altre popolazioni (tra i rifugiati africani spesso si sente parlare della contrapposizione tra anglofoni e francofoni), vivono in un meccanismo di pregiudizio che si autoalimenta nel vedere continuamente “l’altro” come diverso (quando non cattivo),  diversamente da quello che è: un essere umano quanto noi.

Facilmente ci si fissa più sulle cose che differenziano piuttosto che su quelle che accomunano e, se provassimo ad avvicinarci, scopriremmo essere tantissime.

All’interno dei contesti sociali e di gruppo si inseriscono però anche dinamiche di interesse economico e politico (qui appena sfiorate) le qualiimagess esulano dall’idea di contatto ma si muovono in ottiche di convenienza e di guadagno che sfruttano le correnti emotive per il proprio tornaconto personale. Finché ci sono i soldi di mezzo va bene tutto o, al contrario, non va bene niente, dipende dove se ne fanno di più. Ma, tutto questo, non è sempre così chiaro perché difficilmente  si riesce a scansare il coinvolgimento personale che, in questo caso, fa vedere a Toni solo “un palestinese”, il quale come tale rappresenta l’oggetto di tensioni, rancori e rivalsa, invece del semplice “uomo Yasser”, che a lui non aveva mai fatto nulla di male.

Del resto il meccanismo è lo stesso usato dai media quando la vittima, se italiana, viene identificata per nome e cognome mentre i colpevoli, se di un altro paese, solo con la nazionalità di provenienza.

Dal punto di vista visivo il film non è nulla di eccezionale, un paio di sequenze interessanti seppur non particolarmente originali e nulla più. Ci sono alcuni passaggi didascalici che rischiano di renderlo stucchevole e buonista perché troppo cinematografici nella loro formulazione, ma si tratta comunque di dettagli marginali e comunqueimmagi utili allo scopo generale. Allo stesso modo l’inserimento di una microdinamica interna verso metà film sembra essere stata fatta più che altro per aggiungere un elemento sorpresa e riattivare l’attenzione in un passaggio che diversamente avrebbe corso il rischio di avere un netto calo, prova ne è il fatto che una volta svelata non viene in alcun modo approfondita e, di per sé, aggiunge poco o nulla. Del resto, non si può negare che raggiunga questo preciso intento quindi, per quanto sia un mezzuccio, funziona quel tanto tanto che basta per arrivare al vivo del film e ritornare alla linea principale.

Prove attoriali assolutamente molto valide da parte di tutto il cast, Adel Karam nello specifico si distingue per essere un po’ lo Stefano Accorsi libanese, dal punto di vista della fisionomia, ma Kamel El Basha si posiziona sicuramente in un gradino superiore.

Da vedere per il messaggio che trasmette, senza fare troppo caso alle sparute gigionate e al vago senso di costruzione ricamata su quello che, in realtà, era un antefatto ispirato ad un fatto reale accaduto al regista.

Alla fine nulla di trascendentale, l’emozione c’è solo se uno la vuole mettere a tutti i costi.

Nota: Ad inizio film viene chiarito che il governo libanese ha preso le distanze da quanto presentato, nello specifico l’avversione per i palestinesi, ma basti sapere che il regista al ritorno in patria da Venezia fu addirittura arrestato per questo film con l’accusa di “collaborazionismo con il nemico israeliano“.

Giudizio in minuti di sonno: Sveglissimo ma, come sempre quando vado al cinema, mi ritrovo in una sala quasi vuota con una persona dietro che, per qualche motivo a me oscuro, passa una parte di tempo a calciare la mia sedia. Possibile che abbia sempre un tizio così alle mie spalle?

Secondo me....

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