Dario (Diego Abatantuono) è uno psicologo dell’USL che un giorno viene avvicinanto da Mario (Massimo Venturiello), un ex compagno di scuola che anni prima gli aveva soffiato la ragazza e poi l’aveva sposata. I due vanno a bere in un bar e Mario si vanta di tradire la moglie Anna (Monica Guerritore) con la giovane Ester (Amanda Sandrelli) ma dopo poco si accascia a terra e muore. Dario riprende allora i contatti con Anna e decide anche di incontrare Ester, in un momento in cui ha litigato con la fidanzata Nora (Lina Sastri). Alle tre donne che ruotano momentaneamente attorno alla sua vita sembra aggiungersi anche Silvia (Domiziana Giordano), una paziente che..e da qui in poi è meglio guardare il film.
Film, tutto sommato, abbastanza insolito. Se da una parte ha tanti elementi che, presi singolarmente, lo rendono notevole e di un certo livello, dall’altra è come se la loro sovrapposizione non fosse totalmente armonica e, alla fine dei conti, mancasse quello spunto indispensabile per fargli fare il salto di qualità.
Le inquadrature sono visibilmente ricercate nella composizione simmetrica, piuttosto che nella particolarità della prospettiva o nel tentativo di infondere un qualche dinamismo visivo non scontato (l’inquadratura iniziale, la sequenza del bambino e del palloncino all’ospedale, la stanza blu, per esempio), i dialoghi sono scarni ma significativi, ironici e non banali (Abatantuono in questo aiuta moltissimo), inoltre ci sono molte buone idee portate avanti all’interno di una regia coerente, precisa ma senza aucompiacimento o esagerazioni.
Eppure, nonostante tutti questi fattori innegabilmente positivi, alla fine dei conti sembra che non siano sufficienti e che nel complesso non si riesca ad arrivare ad un livello che non sia quello del “dimenticabile” perché non c’è nulla che renda imperdibile questa pellicola, nel bene o nel male.
Giuseppe Bertolucci, fratello del più celebre Bernardo, ha probabilmente ottenuto maggiori successi nell’ambito della sceneggiatura (Novecento, La luna, Tu mi turbi, non ci resta che piangere) che in quello della regia (Berlinguer ti voglio bene, tanto per dirne uno che proprio non mi è parso un capolavoro anche se per altri è un cult), seppur spesso in collaborazione con nomi noti come quelli di Roberto Beningni o Massimo Troisi. Penalizzato probabilmente dal confronto con il fratello Bernardo (il cui talento mi pare che comunque si esprima a fasi alterne perché, per me, The Dreamers rimane irrimediabilmente una cagata. O “ampiamente sopravvalutato”, se si vuole essere più eleganti) e dalla sua notorietà registica. Forse si creano aspettative o confronti immeritati che ne deviano il giudizio.
Chi lo sa.
Altra nota positiva è la scelta del cast, perfetto, anche se il film è dominato leggermente da Abatantuono, senza il quale sarebbe stato sicuramente un film molto meno valido. Il buon Diego aveva in quel periodo appena iniziato a staccarsi dall’immagine machiettistica di Eccezzziunale Veramente, Viulentemente mia, Il ras del Quartiere e Attila, per approdare già l’anno precedente dell’uscita di Strana la vita a Regalo di Natale, che gli aveva permesso di esprimersi in ambiti drammatici uscendone egregiamente. In Strana la vita invece accenna a quello che è il suo vero talento, visibile nei successivi Marrakech Express o Mediterraneo, ovvero quello di saper far ridere con ironia, conservando quella vena malinconica e, a volte, con l’aggiunta di toni amari, i quali portano ad una maggiore profondità, evidentemente molto più significativa all’interno di una visione genuina della realtà.
Perché anche la risata può essere intelligente se non vive di sola superficialità.
Allo stesso modo le quattro protagoniste femmili, ma anche quelle non protagoniste come la madre di Anna, sono assolutamente all’altezza del ruolo e rendono giustizia alla loro bravura. Monica Guerritore è conturbante, Lina Sastri è tenera, Amanda Sandrelli è ingenua mentre Domiziana Giordano è sciroccata; in altre parole sono il perfetto accompagnamento di una trama bizzarra in cui si inserisce anche un Claudio Bisio (accreditato come Carlo) in un piccolo cameo nella parte di un paziente. Di contro Massimo Venturiello è effettivamente un bravo caratterista ma decisamento troppo anonimo per lasciare il segno ed essere ricordato in tutte le sue innumerevoli e brevi parti, come quella dell’amico Rudy in Marrakech Express.
Francamente non ricordo perché avessi deciso di cercarlo e da dove avessi preso lo spunto ma si tratta del genere di film che non lascia un’impronta in pianta stabile quanto piuttosto una scia che sfuma nell’arco di giorni. Le vicende sono ben gestite ma è come se mancasse quel poco di approfondimento (o magari di esagerazione surreale) da renderlo maggiormente caratterizzato, piuttosto che stabile sulla soglia di una normalità che, tuttavia, non pare nemmeno esserci fino in fondo. L’emozione è troppo superficiale quanto il divertimento, con il risultato che risulta essere un connubio sospeso a metà in un limbo che non va da nessuna parte.
Da vedere? Si, solo per Abatantuono. Per il resto non è abbastanza bello da risultare eccelso e nemmeno sufficientemente singolare senza essere anche contemporaneamente anonimo quanto Massimo Venturiello.
Giudizio in minuti di sonno: al primo tentativo non sono arrivato oltre i 5 minuti di cui ricordavo solo la muisca iniziale, al secondo sveglissimo e presente, probabilmente facilitato dalla visione pomeridiana di una domenica e dall’incommensurabile tristezza per la fine delle ferie.