Ci sono momenti in cui vorrei semplicemente trasportarmi su di altro pianeta.
Su Marte magari. In un solo respiro trovarmi da un’altra parte, lontano, tirarmi semplicemente fuori dai giochi. Stare di fronte ad un mare rosso, da solo. Vorrei mettere una distanza enorme tra me e quelle contraddizioni insanabili con cui non riesco a venire a patti. Quel genere di pensiero che non ti fa capire da che parte stia la ragione, ammesso che esista e che qualcuno possa averla, perché alla fine dei conti tutte le parti un po’ si assomigliano.
E ti fanno schifo tutte.
Gli ideali non esistono. Sono, appunto, ideali. Stanno là da qualche parte, seppelliti dal denaro e dal potere. Si assume una posizione perché bisogna farlo, perché per una qualche ragione ci si trova da quella parte della barricata. E si vorrebbe portare avanti valori diversi dai nostri avversari senza rendersi conto che, in una forma più subdola e sotterranea, forse si trasmettono quelle stessa idee che tanto si criticano, con per giunta l’aggravante di essere tutto celata dietro le buone intenzioni o nobili motivazioni.
E quando realizzi che le due parti contrapposte non sono poi tanto diverse viene anche naturale chiedersi, ma io, da che parte sto? Quanto c’è di diverso tra me e quello che non accetto? Quel è il mio ruolo in tutto questo? Cosa sto accettando per convenienza?
Quanto riesco a vivere per come la penso?
Ma soprattutto, cosa rimane se mi ritrovo a mettere in dubbio ogni cosa?
Niente.
E non so più a cosa aggrapparmi quando mi ritrovo a fare i conti con la paura che, in fondo, non ci sia nulla a cui aggrapparsi. Non solo, temo che questa paura se ne stia ad aspettarmi nel profondo in attesa del momento propizio per aggredirmi e farmi molto più male.
A farmi scudo, per ora, la convinzione che l’esperienza sia amica e che si tratti solo di guardare il tutto dalla prospettiva giusta, magari a distanza per trovare la corretta chiave di lettura.
E alla fine, se si elimina ogni cosa, che rimane?
Tutto, magari.
No, troppo facile. Io non ci credo.