L’anarchico Horst Fantazzini (Stefano Accorsi) è conosciuto come “il rapinatore gentiluomo” per i modi garbati e perché utilizza sempre una pistola giocattolo per evitare di fare del male a qualcuno. Le sue periodiche visite in banca si alternano solo alle rocambolesche evasioni di prigione che gli valgono infine una condanna a 20 anni di detenzione. Rinchiuso nel carcere di Fossano a seguito del suo ennesimo arresto, anche in questa occasione prova a fuggire ma la situazione degenera e Horst finisce per ferire tre guardie e prenderne in ostaggio altre due, Di Gennaro (Giovanni Esposito) e Loiacono (Emilio Solfrizzi). Trovatosi alle strette non può che iniziare una trattativa con le forze dell’ordine e…da qui in poi è meglio guardare il film.
Tratto dalle memorie scritte dal vero Horst Fantazzini il film riprende il suo tentativo di fuga dal carcere di Fossano del 1973. Girato sulla scia del successo di Radiofreccia (che piaccia o meno, quando uscì il film di Ligabue parecchia gente andò a guardarlo e ne rimase entusiasta [sottoscritto compreso], salvo poi realizzare alcuni anni dopo che forse non era proprio ‘sta gran figata..), sfortunatamente non ottenne la stessa attenzione e passò immeritatamente inosservato.
Per quanto mi riguarda, l’esistenza di questo film era seppellita tra i ricordi di vecchi trailer visti sul buon vecchio Coming Soon della storica Italia 7 (o 7 Gold), nell’attesa che iniziassero Ken il Guerriero, L’uomo Tigre, City Hunter o I Cavalieri dello Zodiaco e quando il titolo mi si è ripresentato durante l’esplorazione della filmografia di Accorsi (c’ero finito dopo aver visto Veloce come il vento) mi ripropongo di guardarlo, finalmente.
Escludendo una regia acerba e non particolarmente eccelsa, di per sé il film è tutt’altro che da buttare. La storia è ben sviluppata, riesce a mantenere un tenore leggero ed umano pur nella gravità oggettiva degli eventi, con un ritmo senza cadute di tono o momenti di noioso stallo. Siamo nel terreno del tragicomico, con la tipica vena amara che è ormai incredibilmente radicata nel Dna del nostro cinema e che ne è diventata l’inconfondibile marchio di fabbrica.
Perlomeno quando riusciamo a credere nelle nostre capacità senza svilirci con le cineputtanate.
L’amarezza della commedia all’italiana è una poesia lieve, a volte un po’ frivola, che riesce a calarsi con naturalezza inaspettata nell’animo di una umanità poliedrica ed imprevedibile che sa essere meschina, quanto grandiosa e fragile, come del resto solo l’esistenza sa essere (l’emblema di questa poetica per me rimane La grande Guerra di Monicelli). Ed è proprio questo aspetto di fragilità inaspettata che conquista, questa capacità di vedere aspetti profondi oltre all’apparenza e di ribaltare i punti di vista in un quadro complessivo che non abbia mai una sola interpretazione.
Ritornando ad Ormai è fatta non si parla di capolavoro ma di un prodotto genuino, sincero. La storia di Fantazzini è quella di un uomo libero, fuori dalle regole e dalla legge, che rispetta l’uomo come tale ma disprezza i prodotti della sua società e che trova il suo “alibi morale” (testuali parole dall’intervista tratta da… vabbè, lo dico, da “Verissimo“..) nella famosa frase di Brecht (e abusatissima) “E’ più criminale rapinare una banca o fondarla?” (questa è la formulazione che dice Fantazzini nell’intervista ma si trovano anche “ ” oppure “Che cos’è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca?“. Diciamo che, pur non sapendo quale sia la versione corretta, il senso è piuttosto chiaro). Nel film non emerge solo l’avversione per le banche ma anche il delicato rapporto con la moglie, quello conflittuale con il padre che non lo ritiene degno della causa anarchica perché si è sempre mosso per i propri agi, ma anche quello di rispetto e amicizia con i secondini e della brutalità di alcune ottuse procedure, dell’eccesso di zelo a fronte di una situazione già risolta.
Parlando del cast, ci sono diverse presenze notevoli tra cui Francesco Guccini e Alessandro Haber in due piccoli cameo mentre, in generale, gli attori sono tutti allo stesso livello, tra Fabrizia Sacchi, Antonio Catania, Emilio Solfrizzi e Giovanni Esposito (negli ultimi mesi spesso in televisione per una pubblicità di telefonia insieme a Panariello, ma è preferibile ricordarlo per la sua partecipazione a trasmissioni come il Pippo Chennedy Show), nessuno di loro si distingue per un qualche motivo di eccellenza particolare. Bravi tutti, comunque. In questo caso l’attenzione è concentrata su di uno Stefano Accorsi che ancora non ha iniziato a sfiatare o a fossilizzarsi su interpretazioni tutte uguali (ribadisco, lo apprezzo da sempre dopo aver visto Santa Maradona) ma che, anzi, pare piuttosto ispirato e regala un paio di momenti toccanti senza mezzucci o eccessi: il ruolo di Fantazzini gli calza decisamente bene.
Artigianale, genuino, da vedere per pensare che forse non sempre le nostre azioni esteriori corrispondono ad una disposizione interiore d’animo.
Giudizio in minuti di sonno: Tre tentativi senza riuscire a guardare più di cinque minuti; al quarto riesco ad arrivare a metà film; al quinto riavvolgo fino al punto in cui mi ricordavo di essere arrivato e mi addormento miseramente dopo cinque minuti; al sesto riprendo da dove ero arrivato e finalmente concludo.
Stanno ritornando i bei vecchi tempi in cui il solo sedermi per guardare un film mi spedisce in uno stato di torpore comatoso senza ritorno.