Le vie dei canti – Bruce Chatwin

Le “Vie dei Canti” non sono solo dei percorsi ancestrali che delimitano i confini dei territori delle popolazioni indigene Australiane ma sono, secondo la cultura aborigena, l’origine della vita stessa.

Ogni oggetto, animale, uomo, per poter essere percepito deve essere cantato.

Al canto è legata l’essenza più profonda delle cose, la cui esistenza si mescola indexcon un atavico sogno creatore ad opera di avi remoti. Le tribù aborigene sono ognuna depositaria di uno solo di questi canti i cui oggetti ispiratori, in qualche modo, rappresentano per essi una figura totemica identitaria, sacra al punto per esempio da non poterla dipingere (mentre è lecito dipingere quelle degli altri), di cui si tramandano la storia nell’arco dei secoli.

Difficile non subire il fascino di un concetto così ancestrale ma allo stesso tempo così essenziale ed intimo da sprigionare calore famigliare e infatti questo romanzo (anche se la definizione è riduttiva) riesce da subito a trasportare in una dimensione talmente significativa e profondamente spirituale (“Gli aborigeni non credevano nel’esistenza del paese finché non lo vedevano e non lo cantavano: allo stesso modo, nel Tempo del Sogno, il paese non era esistito finché gli antenanti non lo avevano cantato. << Quindi, se ho capito bene, la terra deve prima esistere come concetto mentale. Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste. >> “) da condurre in un mondo legato a valori che trascendono il reale (“Gli oggetti riempivano gli uomini di timore: più oggetti possedevano, più avevano da temere. Gli oggetti avevano la specialità di impiantarsi nell’anima, per poi dire all’anima cosa fare.“) e che inducono ad infelici paragoni sulla situazione psicologica attuale.

Le abilità di Chatwin sono fuori discussione, perché è in possesso di uno stile di scrittura essenziale ed evocativo attraverso il quale dipinge (anche se sarebbe più appropriato “canta”) con familiarità fotografica paesaggi lontani all’interno di un libro che è una commistione di più generi. Ne Le vie dei canti si mescolano letteratura di viaggio (del cui genere l’autore è un grande rappresentante), romanzo, diari personali, riflessioni e citazioni in un’amalgama che, tuttavia, sul finale non sembra perfettamente riuscita.

Nel momento in cui subentrano gli appunti dei taccuini, sostanzialmente costituiti da una sfilza di citazioni, la poesia narrativa si sfilaccia e perde di intensità. E’ piuttosto ovvio che non si possa portare avanti un libro di quasi 400 pagine solo parlando dei canti tribali ma nemmeno si può da un certo punto in poi elencare una serie di citazioni, per quanto a tema e suggestive (“Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini“, Proverbio Moresco) senza ricondurre l’operazione ad un intento chiaro ed omogeneo perché la tangibile conseguenza è quella di essere percepito come in sospeso, incompleto, parziale.

Senza dubbio questa scelta può rendere l’idea del diario personale (poiché di certo per sua natura non deve essere lineare) ma l’effetto è un po’ quello di perdere il filo tematico e smarrirsi in un deserto senza riferimenti che, se da una parte dona parecchi spunti, dall’altra lascia parecchio perplessi e, tocca dirlo, pure un attimo annoiati.

Ma del resto “l’uomo è nato in africa, nel deserto. Ritornando nel deserto riscopre se stesso.

 

2 pensieri su “Le vie dei canti – Bruce Chatwin

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