Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza – Roy Andersson

Due venditori di denti finti da vampiri e maschere di carnevale incontrano diversi personaggi e storie che si alternano in una narrazione fatta di piccoli episodi brevi e..non c’è molto altro da dire, meglio guardare il film (forse).

Film vincitore del Leone D’oro al Festival del Cinema di Venezia 2014 per la categoria miglior film e osannato dalla critica in maniera quasi unanime, lascia oggettivamente abbastanza perplessi e sembra più che altro uno di quei prodotti fatti apposta per massacrarsi di rasponi intellettuali (che in effetti era pure l’intenzione di partenza di questa visione) e far parlare inutilmente chi si vuole dare un tono di superiorità (dietro cui non sempre necessariamente si coltivaindex sostanza), piuttosto che veicolare un messaggio che non vada oltre un vago senso di autocompiacimento. Non che non ci siano significati, ma forse sono stati un pochino sopravvalutati da chi ne ha parlato.

Infatti dopo quasi un’ora e dieci di letterale rompimento di coglioni (camera ad inquadratura fissa, dialoghi degni dei migliori teletubbies per le ripetitività e la pedanteria, in aggiunta ad una lentezza oggettiva che decuplicava la percezione dello scorrimento temporale al punto di convincermi di aver vissuto nel frattempo almeno cinque vite intere, di cui una nelle vesti di Squalo della Groenlandia [secondo Focus uno degli animali più longevi]) il film riesce ad avere un guizzo di interesse solo con l’ultima parte intitolata Homo Sapiens, vuoi perché è volutamente provocatoria e inaspettatamente violenta (il confronto tra la banalità di un dialogo quotidiano e l’indifferenza al dolore della vivisezione), vuoi perché paragonata a tutta la parte precedente anche il bradipo di zootropolis sembrerebbe, a confronto, dinamico quanto un levriero caffeinomane fatto di amfetamina.

Escludendo la noia insopportabile, la lentezza e la voimages5glia di soffocarsi da soli con il cuscino del divano di fronte ad un film che ha tutte le caratteristiche peggiori (le già elencate noia insopportabile, lentezza, freddezza glaciale, ecc..) di un’opera nordica (che tuttavia sanno anche sfornare autentici piccoli capolavori tipo Lasciami Entrare o  anche la serie di Millennium, senza dover per forza scomodare Ingmar Bergman) ci sono tuttavia dei pregi innegabili. Intanto le inquadrature larghissime, per quanto immobili (e chi scrive è molto insofferente alla staticità. Non solo, l’altra cosa insopportabile sono i pezzi cantati. Manco a dirlo anche qui non mancano..), sono estremamente curate e rimandano ad una estetica senza dubbio legata all’arte fotografica (…comunque, se voglio guardarmi una sequenza di foto vado ad una mimagesqostra di Salgado, Doisneau o McCurry e non sto davanti ad uno schermo per un’ora e quaranta..) e all’utilizzo capace della prospettiva e delle linee di fuga.

Gli spazi assumono un ruolo di primaria importanza e fanno passare in secondo piano gli attori che risultano praticamente irriconoscibili in volto. L’effetto è quello di guardare dei diorami in scala ridottissima in cui ci si lascia affascinare dall’ambiente perdendo di vista le miniature che diventano insignificanti. L’importanza viene rivestita dalle relazioni tra i personaggi e non dai personaggi in sé stessi. Da un punto di vista dell’atmosfera sono evidenti i richiami a Hopper e al celebre sonnamindex1buli (Nighthawks), in particolare nelle due scene riprese in strada con il protagonista al cellulare di fronte ad una vetrina affollata di gente, e quelli ad una strutturazione di chiara ispirazione teatrale, in cui vi è un punto di vista unico di osservazione (con differenze minime tra uno spettatore e l’altro in base a dove sono seduti). E’ praticamente come stare davanti ad un palco (…comunque, non mi vedo un film per poi ritrovarmi a teatro. Ci vado direttamente se ne ho voglia…) a guardare una serie di corti in varie ambientazioni, alcuni piuttosto brillanti e ironici (i tre incontri con la morte), altri veramente insopportabili.

Pesante, troppe elucubrazioni mentali, intellettualismi forzati e sofisticazioni eccessive cheindex2 non sembrano portare realmente a nulla di concreto, se non alle riflessioni che nascono dalla parte intitolata Homo sapiens, emozione e coinvolgimento prossimi allo zero assoluto e tutto questo nonostante una evidente originalità e un azzardo creativo a cui non si riescono a riconoscere pregi che non si esauriscano al solo fatto di aver, appunto, azzardato un progetto del genere. Azzardo che, comunque, merita rispetto, azzarderei.

Di Roy Andersson c’è da mettere in evidenza un’informazione piuttosto index4curiosa. Ha diretto un film nel 1970 e uno nel 1975 (5 anni); poi per 25  anni (5 al quadrato) non ha più fatto nulla che concernesse il cinema, salvo poi ritornare nel 2000, nel 2007 (sette anni) e nel 2014 ( altri sette anni) con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. Se c’è uno schema dietro tutto questo, fino al 2021 siamo in salvo e poi speriamo che subentri il sette al quadrato..

Dice anche di essersi ispirato per questo film a Ladri di Biciclette. Ma lo avrà visto?

Palloso oltre ogni umana tolleranza eppure, visivamente, permangono alcune scene insistentemente in memoria a riprova del fatto che forse qualcosa di buono c’è.

Di certo il pensiero più profondo viene pronunciato alla fine: “Se perdi di vista che giorno è, la vita diventa un casino.

Tieni d’occhio gli anni Roy che al 2021 c’è ancora tempo..

Giudizio in minuto di sonno: malauguratamente non sono riuscito a dormire nemmeno un attimo ma avrei tanto voluto. La persona che lo guardava con me, da questo punto di vista, è stata molto più fortunata.

2 pensieri su “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza – Roy Andersson

  1. Ok, questo va dritto dritto nel gruppo soporiferi, quando ho difficoltà ad addormentarmi so cosa guardare.
    Le tue recensioni sono geniali, mai pensato di fare qualche video su youtube?
    Tipo Federico Frusciante…
    Te la butto lì…

    • Finisce nel gruppo a pieno titolo, garantisco.
      No, mai pensato, non so quanto mi si addica. Però hai ragione, su youtube c’è più seguito..
      Non lo conoscevo, ho scoperto yotobi solo un anno fa..

Secondo me....

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