Non sapendo da come cominciare a scrivere di questo libro provo a lasciarmi ispirare dalla quarta di copertina: testualmente recita “Otto racconti fantastici di uno degli scrittori giapponesi più significativi del XX secolo per ritrovare la capacità di credere alle favole.” che é un po’ la frase ripetuta ogni volta in cui qualunque scrittore (frequentemente si usa per gli americani) decida di mettere insieme un’idea su carta. Meritevoli o meno di questo fregio, il punto è che ormai c’è un esercito di “uno degli scrittori più significativi del XX secolo” talmente folto (e diviso in plotoni per nazionalità) da rendere totalmente vuota l’espressione stessa. Questo per dire che sono parole al vento, una sottospecie di marketing precotto da piazzisti che rischia di andare a discapito delll’opera di Ryūnosuke Akutagawa di cui si dovrebbe salvaguardare il valore intrinseco. Suo, come di tutti gli altri “scrittori più significativi del XX secolo.” i quali meriterebbero di ricevere un maggiore risalto delle proprie peculiarità creative, senza finire in un calderone omogeneo che non ne valorizzi l’identità.
Morto suicida come altri suoi colleghi giapponesi, (Osamu Dazai e Yukio Mishima) seppur con motivazioni diverse (ma non come Ryu Murakami che invece è vivo e vegeto, giusto per arrivare ad una personale percentuale di 75% di scrittori giapponesi letti morti per suicidio), il nome di Ryūnosuke Akutagawa saltò fuori durante il viaggio a Naha senza particolari condimenti, era solo un nome tra i tanti consigliati che, per puro caso, è finito tra le mie mani dopo Amélie Nothomb.
Sono stato attratto prima di tutto dalla manifesta brevità del testo (ne avevo bisogno) e solo in secondo luogo dalla caricatura in copertina dell’autore che ben sintetizza i tratti spigolosi e allungati del suo volto, contemporaneamente alla singolare capigliatura. Il lieve umorismo che trasmette l’immagine è lontano dallo sguardo penetrante e affilato delle sue foto ma in qualche modo porta avanti lo spirito dei suoi scritti.
C’è infatti nei suoi racconti (che si possono tranquillamente definire favole) un’ironia, non solo del destino, piuttosto diffusa che aleggia nel suo narrato in forme più o meno celate che ben si mescola ad allegorie di storie asciugate fino all’essenziale, coniugando leggende tradizionali giapponesi alla personale ispirazione. Il risultato sono otto racconti senza fronzoli e semplici dal punto di vista della scrittura i cui strascichi in forma di sedimenti inconsci vanno a fermentare in visioni decisamente molto più profonde di quanto non vogliano apparire. Sono tutte immagini pulite e brevi che delineano una trascendenza dalla realtà che sfocia nella filosofia e nella mistica e lasciano con la sensazione di aver sfiorato per un solo attimo qualcosa di più grande, come uscire di casa avendo intuito che fuori c’è un giardino e forse più in là il mondo. Tuttavia, quello che fa Ryūnosuke Akutagawa è solo di stuzzicare alcune intuizioni senza andare oltre, la porta per uscire di casa la deve aprire chi legge.
Quindi, che fare? Bisogna dare ragione a chi dice che uno degli scrittori giapponesi più significativi del XX secolo?
No.
E’ meglio dare ragione a Ryūnosuke Akutagawa quando scrive che “Le pesche che compaiono ogni diecimila anni cadono a terra ogni mille.“