Fatima era da sola in giardino.
Giocava sopra un rigoglioso albero gonfio di frutta. Le piccole albicocche se ne stavano ben nascoste tra le sottili foglioline verde chiaro, accessibili solo a chi ardiva la scalata. L’erba secca del campo antistante riempiva d’estate il circondario mentre l’aria calda ed afosa si lasciava portare a spasso per le campagne.
Stava coricata lungo un ramo e guardava il cielo attraverso un’ampia apertura nelle fronde. Giocava a riconoscere le forme delle nuvole. Una sembrava un maialino, un’altra una sciabola. La sua preferita era quella dalla forma di cavallo. Pareva addirittura che galoppasse da quanto si spostava rapidamente.
Una piccola coccinella le si poggiò sulla punta del naso. Fatima le porse l’indice per farvela salire sopra. La guardò. Era piccola e rossa, con otto puntini sul dorso. Tutti da un lato solo. Sua mamma le aveva sempre detto che le coccinelle portavano fortuna e che quando se ne aveva una addosso bisognava esprimere un desiderio ma, affinché si realizzasse, era necessario aspettare che volassero via di loro spontanea volontà.
La coccinella iniziò a calare dall’unghia verso il palmo della mano.
Fatima ripensava a quello che era accaduto la mattina.
Uscita di casa per giocare aveva visto nel campo una piccola macchia marroncina che correva veloce inseguita da un grossa gazza che le saltellava appresso. L’uccello era riuscito a raggiungere la macchiolina quasi subito e aveva iniziato a beccare a terra. Uno specie di squittio acuto, quasi impercettibile, le era arrivato alle orecchie. Aveva avuto alcuni istanti di esitazione prima di lanciarsi fuori dal giardino, non aveva realizzato quello che stava accadendo. Aveva corso a perdifiato sul campo e l’erba appena tagliata le si era conficcata sotto i piedi nudi fino a farle male. Prima che la gazza volasse via l’aveva vista dare un’ultima beccata.
La macchia era una piccola lepre.
Stava in una mano sola da quanto era piccola ma si era aiutata con l’altra per non farla cadere. L’animale si muoveva molto lentamente, aveva la bocca rossa e gli occhi neri.
Era leggerissima e soffice.
Fatima si era guardata in giro ma non aveva visto nessuno.
Non sapendo cosa fare era andata dalla donna che abitava dall’altra parte del campo, forse lei avrebbe potuto salvarla perché sapeva come curare gli animali. Smarrita, l’aveva chiamata gridando dalla staccionata.
Mentre aspettava che arrivasse aveva controllato come stesse il leprotto e aveva scoperto di avere la mano sporca di sangue.
La donna era uscita e si era fatta passare l’animale. Lo aveva esaminato compassionevolmente spiegando alla bambina che, quando si taglia l’erba, appena i leprotti escono dalla tana si trovano allo scoperto e che la gazza aveva beccato il cucciolo per il luccichio dei suoi occhi.
La donna le aveva promesso che avrebbe fatto il possibile.
Dal grosso ramo dell’albicocco Fatima strizzò gli occhi con convinzione per dare più forza al suo desiderio. Da quel giorno in poi sarebbe stato sempre lo stesso per ogni coccinella.
Nel buio delle palpebre chiuse iniziarono a formasi tante stelline.
Quando riaprì gli occhi la coccinella era ancora immobile sul suo palmo.
Un refolo di vento le mandò i capelli sulla faccia. Con l’altra mano se li aggiustò e poi vide la coccinella camminare fino alla punta dell’indice prima di librarsi in aria.
Sospirò mogia e riprese a guardare le nuvole.
Non ebbe il tempo di riconoscere nessun altra forma perché sentì un miagolio chiamarla da sotto l’albero.
In risposta allo sguardo della bambina il gatto si arrampicò fino ad arrivare tra le sue gambe. Le appoggiò le zampe sulla pancia facendo le fusa e si protese fino a urtare vigorosamente il muso sul suo viso.
Fatima gli accarezzò la testa sorridendo malinconicamente.
Sentiva di avere gli occhi umidi.
Ma non le guance perché il gatto ripetutamente le si sfregava contro per asciugarle.