La sfida del samurai – Akira Kurosawa

Un samurai (Toshirō Mifune) ormai rimasto senza un signore da servire (e quindi diventato un ronin) giunge in un piccolo paese soggiogato dalla rivalità tra due Yakuza che si contendono il primato del potere a colpi di morti. Nessuno dei due tuttavia riesce a prevalere e quindi gli unici a rimetterci sono gli abitanti del paese che vivono perennemente barricati nelle loro case. Il samurai si offre quindi come guardia del corpo (da qui il significato del titolo originale Yōjinbō) al miglior offerente e diventa l’oggetto di una disputa tra le due fazioni che vorrebbero la sua abilità con la spada dalla propria parte per prevalere una sull’altra. Il samurai peròla-sfida-del-samurai-locandina-originale-246033 sembra avere intenzioni diverse e..da qui in poi è meglio guardare il film.

La maestria estetica di Kurosawa è già chiaramente esibita nei primi 5 minuti di film, in cui vediamo le spalle e la testa del samurai riprese da dietro, leggermente dal basso, mentre cammina (escludendo una fastidiosissima imperfezione, della pellicola suppongo, in alto a destra che sembra un pelucco) accompagnati da una musica martellante, lui si aggiusta, si gratta, l’inquadratura passa ai piedi e il protagonista si allontana mentre la camera smette di seguirlo facendo allargare il campo; il samurai giunge ad un crocicchio tra canne mosse dal vento (bellissima immagine), prende un bastone e lo lancia in aria per decidere in quale strada proseguire..stupendo, l’unico altro inizio capace di rapirmi così tanto è stato quello de La maschera del demonio di Mario Bava.

La sfida del Samurai non avrà ricevuto l’Oscar (ammesso e non concesso che voglia dire qualcosa) al miglior film straniero come Rashamon o Dersu Uzala ma senza dubbio possiede una rara cura visiva, ben tangibile nella pulizia e nella ricercatezza di ogni inquadratura.

Ogni immagine che passa sullo schermo rimane cauterizzata in memoria senza difficoltà, forse aiutata dal fatto di risuimagesltare piuttosto esotica agli occhi di un occidentale, anche se pensare che tutto dipenda esclusivamente da questo fattore sarebbe riduttivo. Si respira eleganza nello sguardo di Kurosawa che, tuttavia, sa evitare le rigidità e le compostezze eccessive lasciando campo ad una certa ironia (in un personaggio l’ironia diventa anche eccessivamente caricaturale ma parliamo di altri tempi) con cui ampliare gli spazi lasciati alle atmosfere tese, da cui prese ispirazione Per un pugno di dollari, l’opera del rilancio dello spaghetti-western. La sceneggiatura e le atmosfere del film di Sergio Leone sono identiche e infatti dovrebbe esserne il remake ma, a quanto pare, ai tempi ci fu una diatriba legale che vide ovviamente vincere il cineasta giapponese su una questione poco chiara di diritti non pagati (si parlò comprensibilmente di plagio) e con diverse versioni discordanti.

Sostanzialmente un film di alto livello in cui l’assenza di mezzi era rimpiazzata dalle idee, dalla cura nei confronti di una precisa visione estetica e dalla capacità registica, e Kurosawa in tutto questo è unimagesdd maestro. Tra gli attori purtroppo svetta in maniera inarrivabile il magnetismo di Toshirō Mifune che inevitabilmente adombra chiunque con la sua bravura; la sua faccia letteralmente buca lo schermo. L’unico a tenergli testa è Tatsuya Nakadai nel ruolo di Unosuke, il figlio minore di uno dei due Yakuza, che coadiuvato dal ruolo di un villain piuttosto suggestivo riesce a dimostrare molto carisma, ma a priori non può competere  con un ruolo da protagonista.

In generale, una sola imperfezione appare evidente in questa scena: all’inizio il samurai arriva nel paesino, entra in una locanda e l’oste inizia a raccontare tutte le faide famigliari e i protagonisti della storia. Si tratta ovviamente di un pretesto registico (piuttosto macchinoso e forzato) per mettere a conoscenza lo spettatore di quanto sta accadendo ma in un tripudio di -chiro, -kichi, -suke il risultato è che non si capisce un cazzoindex se non che ci sono due Yakuza che si fanno le guerra. Non è una questione di nomi o di disattenzione, perché anche se fossero stati Rossi, Verdi, Bianchi e Boccasana non si avrebbe capito una mazza comunque su chi ha fatto cosa, ma di comunicazione poco efficace con il pubblico. Questo perché nei film, come François Truffaut scrive nell’introduzione de Il cinema secondo Hitchcock, “tutto ciò che viene detto invece di essere mostrato è perso per il pubblico“. 

Anche i maestri possono avere dei nei e senza per questo smettere di essere dei maestri.

L’altra pecca non tocca a Kurosawa ma al doppiaggio dell’edizione italiana del DVD che potrà anche essere stato un processo difficile (e quindi non voglio commentare lo spaventoso e irritantissimo fuorisincrono che si percepiva in certi momenti) però, porca miseria, non si possono dare due voci giovani a due personaggi palesemente anziani e nemmeno imagesdvusare probabilmente sempre gli stessi doppiatori (o con voci troppo simili) e che per giunta non sanno nemmeno recitare così bene! Talmente obrobriosa da spingere a guardare la versione in originale con i sottotitoli; se per i film in inglese ormai il vederli in lingua originale è un obbligo, con il giapponese è solo masochismo cinematografico.

Da vedere assolutamente in un momento di forte predisposizione. Perché è figo, coinvolgente e l’occasione di godere visivamente non deve essere sprecata in luce della bassa frequenza con cui si riesce a trovare qualcosa di tale livello.

Giudizio in minuti di sonno: Alla prima visione riesco a sopravvivere solo fino ai “primi 5 minuti di maestria estetica” poi vengo svegliato dalla martellante musica del menù principale del DVD e quindi me ne vado a dormire. Rinuncio a riprovare, penso per almeno uno, due anni, del resto il DVD l’ho comprato almeno 9 anni fa, per poi riprovare una seconda volta. Inizio guardandolo seduto sulla sedia ma colpito da diversi colpi di sonno mi trasferisco rassegnato al divano sfondato, la cui seduta è così scomoda che il passarvi un’ora sopra corrisponde all’essere colti da atroci dolori cervicali talmente forti da far risvegliare dal sonno. Non basta. Nonostante tutto questo mi addormento dopo mezzora dall’inizio e mi risveglio a causa del solito menù principale. E dei dolori.

Quello buono è stato il terzo tentativo, in un giorno di pioggia senza Andrea e Giuliano.

Per fortuna.

toshi

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