Charlie Brown è un bambino perseguitato dalla sfortuna che non riesce ad ottenere mai nessun successo e per questo si sente un buono a nulla. Quando incontra la ragazzina dai capelli rossi, da poco trasferitasi nella sua città, si prende una cotta per lei ma è talmente timido ed insicuro da non riuscire nemmeno a parlarle. Chiede allora aiuto a Lucy (nel suo famigerato banchetto) che gli consiglia di apparire vincente in modo da riuscire ad attirare l’attenzione della sua amata. Charlie si adopera quindi in tutti i modi per fare una buona impressione sulla ragazzina dai capelli rossi ma ogni volta alcuni imprevisti si mettono di mezzo e..da qui in poi è meglio guardare il film.
La visione di un film ispirato alle famose strisce a fumetti del compianto (ed eterno) Charles M. Schulz se realizzato in maniera indegna avrebbe potuto facilmente sconfinare nei casi più lievi in una moderata delusione e in quelli più gravi in una estemporanea esibizione di vilipendio alla religione o ad obiettivi di varia natura accuratamente selezionati per la loro sacralità in base alla soggettività del proprio credo. Ci sono soggetti, idoli, simboli che non possono essere maneggiati da chiunque. E ha avuto ragione Craig Schulz, figlio di Charles, a spingere affinché la sceneggiatura di un film sui Peanuts rimanesse sotto il controllo della famiglia e fosse scritta da lui e da suo figlio Bryan con la motivazione che “Non puoi portare persone dall’esterno e aspettarti che capiscano i Peanuts“, perché il risultato finale è ottimo. Non è un capolavoro perché con tutto l’impegno che ci si possa mettere è impossibile condensare 50 anni di poesia in 88 minuti (e sarebbe pure stupido pretenderlo); invece è assolutamente possibile sfiorare la superficie della profondità d’animo della filosofia umana di cui erano intrise le strisce e le storie di questi personaggi intramontabili, costruendo una narrazione semplice ma sincera. Tutto ruota intorno al tenero personaggio di Charlie Brown, che da sempre è il pilastro della striscia, l’alter ego del disegnatore, e la sua cotta per la ragazzina dai capelli rossi, senza perdere occasione per citare alcuni degli sketch più famosi (il banchetto di consulenze psicologiche, le partite di baseball, gli aquiloni..) ma anche alcune trovate della serie animata (la sigla iniziale e le voci degli adulti fatte con il suono della tromba [nel film assegnate al jazzista Trombone Shorty]) intervallando la linea narrativa principale con una seconda linea parallela che segue il comprimario per eccellenza, il cane Snoopy impegnato nel suo et
erno conflitto con il Barone Rosso. Non è l’eccezionalità del film a coinvolgere, ma quella del personaggio, la cui grandezza riesce ad andare oltre il film in cui è stato rinchiuso. Charlie Brown è il prototipo della persona che non riesce mai a vincere, circostanza che tuttavia non gli impedisce di essere grande. Perché il malinconico bambino dalla testa rotonda non si arresta di fronte a nulla, continua a provare nonostante le delusioni, le avversità e gli ostacoli, non smette mai di sperare che tutto possa andare meglio, cerca di conservare la sua delicatezza a fronte degli schiaffi della vita, perché alla fine dei conti è una brava persona, ovvero una rarità, e non può fare a meno di esserlo. Il solo fatto di riuscire ad accettare questo semplice dato di realtà in un mondo che giudica tutto in base ai risultati e all’apparenza, piuttosto che all’essere e alla disposizione d’animo, è veramente un compito eroico.
Buona prova alla regia di Steve Martino (Ortone e il mondo dei Chi, L’era Glaciale 4), la scelta della computer grafica in un qualche modo impoverisce i personaggi rispetto alla serie animata e alla striscia, ma non così tanto da stravolgerne la fisionomia quindi risulta accettabile senza particolari fastidi. I Charlie Brown probabilmente si identificheranno un pochino e alimenteranno la speranza che, alla lunga, essere sé stessi porti la tanto ricercata ricompensa ma anche che qualcuno sia in grado, ogni tanto, di fermarsi per poter riconoscere qualità che magari nemmeno si pensava potessero essere considerate tali da qualcuno. Qualità che è più facile racchiudere sotto l’etichetta di una sola espressione: “avere cuore”. Perché in un mondo sempre più malato dall’essere uno stronzo cinico (South Park docet, vedi “Stai invecchiando” Stagione 15) la banale soluzione a volte può essere nulla più di quella.
Avere cuore.
E non dimenticare che anche Charlie Brown una volta ha battuto un home run..
Diverte, fa sorridere, commuove. Non delude, da non sottovalutare. Ogni tanto fa incazzare perché ci si chiede come sia possibile che il destino si accanisca così tanto con questo povero bambino ma in fin dei conti anche le situazioni avverse e le condizioni peggiori, a volte, possono tirare fuori il meglio dalle persone..
Giudizio in minuti di sonno: Sveglissimo nonostante una digestione da post pranzo di Pasqua ma aiutato dall’orario pre cena. Davanti al film successivo comunque sono svenuto penosamente.