La maestra la riprese perché parlava.
Mortificata reclinò lo testa, nascose le mani sotto il banco e fissò il suo astuccio colorato che riposava sul bordo nero dove si appoggiavano le penne. Non fu sgarbata, si limitò a chiamarla per nome certa che sarebbe bastato per riportarla nei ranghi dell’attenzione ma non poté fare a meno di sentirsi ferita. Era una bambina solitamente silenziosa ma nonostante questo aveva, ogni tanto, improvvise esplosioni di estroversione incontrollata. Parlava con le amiche, a volte alzava la voce al punto di gridare. Non era un suo costante modo di essere, si presentavo solo quando qualcuno non la ascoltava. La frustrazione di essere ignorata come una voce nel vuoto la spingeva ad alzare i toni facendo vibrare i nervi del suo collo, poi subito dopo si guardava attorno in un misto di curiosità e timore per verificare di aver finalmente avuto attenzione. Il suo sguardo brillante sorrideva soddisfatto in quei momenti di incontenibile sfogo mentre i suoi occhi erano semplicemente elettrizzati e vivi. Era come rompere un argine tra il timore dell’essere scoperti e la gioia di aver varcato un limite ingiusto, mentre combatteva la sua ritrosia a parlare che controbilanciava la teatralità vocale.
Le piaceva la maestra; per questo quando la sgridava si sentiva mortificata, perché voleva prendere bei voti, voleva essere una brava bambina per lei. Non usava mai parole dure come facevano i suoi genitori. O come l’insegnante di pianoforte. Sempre rigido e impettito, chiuso in quel suo intercedere altezzoso. L’aveva sentito chiaramente darle della stupida a bassa voce in un momento in cui non riusciva ad eseguire fluentemente alcuni passaggi a suo dire molto semplici.
Una palla di carta la colpì sulla testa e rimbalzò finendo sopra la cattedra.
Si girò subito ma non riuscì a capire chi fosse stato. I biondi capelli lunghi le coprivano gli occhi e se li dovette aggiustare per vedere bene i compagni dietro di lei.
Nessuno si mosse. Nessuno la guardò.
Ma approfittò dell’occasione per guardare di sfuggita cosa stesse facendo Adelmo, il ragazzino che le piaceva, sperando di trovare in lui un principe azzurro che la difendesse dai cattivi. Ma lui, come al solito, se ne stava con aria trasognata a guardare fuori dalla finestra totalmente inconsapevole di qualunque cosa accadesse in quell’aula. Non la guardava mai nonostante lei cercasse spesso il suo sguardo. Se ne stava sempre appartato in disparte durante gli intervalli, sempre solitario e taciturno. Eppure nessuno lo prendeva di mira. Un ragazzino di un anno più grande aveva provato una volta a schernirlo davanti a tutti ed era finita con una feroce rissa nel cortile. Si erano picchiati senza che nessuno dei due fosse riuscito a prevalere sull’altro. Era finita solo con qualche livido, ma da quella volta nessuno aveva più infastidito Adelmo anche se era il nuovo arrivato. Lei quel giorno aveva assistito a tutta la scena dalla finestra, stringendo il davanzale tra le sue mani.
La maestra nel frattempo si era girata per intimare alla bambina di sedersi composta e non distarsi.
Scorse la palla di carta sulla cattedra e con voce autoritaria chiese chi fosse stato.
La aprì invano in cerca di indizi.
Chiese per una seconda volta di chi fosse e poi senza aspettare ulteriori risposte assegnò un compito in classe punitivo che sarebbe valso una nota negativa o positiva. Qualcuno alzò la mano ma la maestra non era più interessata a sentire nulla. A quel punto non era importante chi fosse il colpevole, se nessuno aveva avuto il coraggio di dire niente sarebbero stati puniti tutti indistintamente e dalla prossima volta avrebbero imparato a comportarsi diversamente, disse.
Assegnò un’analisi di un testo e diede mezzora per finirla nonostante fosse consapevole che la sua lezione sarebbe terminata dopo un quarto d’ora. In questo modo avrebbe potuto concedere di finire il compito a casa, avere più tempo e diminuire le possibilità di dover dare dei brutti voti. Detestava questo tipo di rappresaglie ma doveva tenere l’ordine in quella classe perché se non si fosse imposta i bambini avrebbero certamente preso il sopravvento. Tuttavia non si sentiva mai a suo agio nel prendere misure simili perché se da una parte avrebbe voluto trovare il colpevole dall’altro non sentiva giusto obbligare gli altri a fare la spia. Nemmeno voleva incoraggiare alcun tipo di comportamento omertoso, quindi si ritrovava ogni volta a fare sfuriate inconcludenti accompagnate da blande punizioni in modo da non costringere realmente il colpevole ad una sortita e allo stesso tempo senza perdere la propria autorevolezza perché comunque assegnava una pena. Nessuno vinceva e nessuno perdeva, un buon compromesso per un fatto non particolarmente grave. Temeva il verificarsi di situazioni peggiori perché a quel punto non avrebbe potuto esimersi da interventi seri.
Si misero tutti con la testa sul libro, concentrati a non prendere un brutto voto.
Entrò la bidella a portare una comunicazione che la maestra firmò prima di riconsegnarla alla donna che uscì sbattendo involontariamente la porta.
Suonò la campanella dell’intervallo e tutti i bambini confluirono nel cortile durante una grigia mattinata di novembre che entrò nella memoria collettiva per una serie di disordini che si verificarono in città ma di cui nessuno poteva avere consapevolezza all’interno dell’isolamento scolastico.
La bambina si sedette sopra un muretto per consumare la sua merenda. Da dove si trovava poteva vedere bene tutto il cortile. I ragazzi giocavano a calcio nel campetto disegnato a terra i cui pali delle porte erano costituiti da due blocchi di cemento. All’angolo un gruppo di coetanee se ne stava riunita a chiacchierare, totalmente indifferente al pallone e agli schiamazzi di chi stava chiedendo un rigore a gran voce.
Quando percepì una presenza accanto a sé ebbe paura si trattasse di qualcuna delle bambine che solitamente la prendevano in giro invece si ritrovò ad incrociare lo sguardo con Adelmo. Ritto di fronte a lei le stava porgendo una molletta arancione che le era caduta dal vestito mentre stava uscendo dall’aula. Non erano mai stati così vicini e solo ora si rese conto che un profumo dolce di vestiti appena lavati lo avvolgeva come un’ombra. Si sedette accanto a lei e con tutta la naturalezza del mondo e, allo stesso modo, le disse semplicemente “mi piaci”. Aggiunse che la vedeva andare a fare la spesa con i genitori tutte le sere mentre passavano insieme davanti alla finestra di casa sua. Lei arrossì sapendo di essere stata osservata a sua insaputa, e per giunta in una circostanza di cui si vergognava, ma più di tutto per la spontaneità della sua dichiarazione che mai si sarebbe aspettata di ricevere. Gli disse che anche lui le piaceva e rimasero entrambi in un silenzioso imbarazzo per alcuni secondi perché si era svolto tutto in maniera così semplice e fluida che ora non sapevano bene come proseguire.
A quel punto Adelmo si propose di accompagnarla a casa alla fine delle lezioni visto che avrebbero comunque dovuto fare la stessa strada e lei accettò l’invito sorridendo poco prima di dover rientrare in aula.
Il resto della mattinata trascorse lento, interminabile, nell’attesa di fare quel pezzo di strada insieme. La bambina si ripeteva mentalmente il percorso, mentre la voce della maestra si faceva sempre più simile ad un sussurro impercettibile fino quasi a sparire, valutando in termini di distanze quanto tempo avrebbero avuto per stare insieme. Si chiedeva se le avrebbe preso la mano o cosa avrebbe fatto mentre immaginava di percorrere la via delle bancarelle che conduceva alla piazza del mercato, dove avrebbero dovuto svoltare a destra per imboccare l’ampio viale alberato con i bagni pubblici che facevano angolo e l’edicola grigia sul lato opposto della strada, esattamente accanto a quella pasticceria di cui guardava sempre con golosità le leccornie esposte in vetrina. Non le era ben chiaro cosa avrebbe dovuto fare perché le sue conoscenze fino a quel punto si limitavano ad un “mi piaci” e ad una indefinibile e difficile sensazione che saliva da qualche parte del suo stomaco, intraducibile a parole, ma ne sentiva tutta la potenza ogni volta in cui lo guardava mentre stava anche solo seduto sul suo banco o quando ricambiava i suoi sguardi con un vago sorriso.
La campanella di fine lezioni interruppe le sue fantasie.
Preparò lo zaino, si vestì con cura e con molta lentezza per fare in modo che fossero pronti nello stesso momento e ritrovarsi affiancati all’uscita dell’aula. Adelmo fece la stessa cosa. La osservava cercando di coordinarsi con i suoi ritmi e con i suoi tempi al fine di far sembrare il loro ritorno a casa il più accidentale possibile.
Nessuno dei due voleva farsi vedere mentre aspettava l’altro.
Si incamminarono insieme per la via delle bancarelle, insolitamente sgombra e vuota quel giorno. Parlottavano tra di loro lottando con l’imbarazzo e cercando di prolungare la loro passeggiata il più possibile.
Quando arrivarono alla piazza del mercato videro qualcosa che non riuscirono a identificare. Una piccola folla si era radunata e stava ammassata attorno a qualcosa. Si levarono grida indistinte, molte di rabbia, mentre dalla ressa si percepiva un lamento lontano. I due bambini erano terrorizzati e non riuscivano a decifrare la situazione. La maggior parte delle persone sembrava armata di bastoni e gli altri sembrava stessero aggredendo qualcuno a colpi di calci.
Paralizzati dalla paura osservavano la scena senza muoversi. La massa era completamente impazzita, alcuni avevano gli occhi pieni d’odio con sguardi allucinati e spaventosi, mentre altri gridavano paonazzi.
Qualcuno soccombeva nel rumore.
La bimba vide arrivare a passo spedito una sua vicina di casa, una giovane liceale che da lontano stava assistendo atterrita a quella bolgia e che, non appena la scorse, le andò incontro senza esitazioni. La ragazza la sollevò di peso, la abbracciò, le nascose il volto sul petto e altrettanto speditamente iniziò ad allontanarsi dalla piazza, stringendola forte.
Adelmo non riuscì a capire cosa stesse succedendo e non ebbe il tempo di protestare perché lo sguardo compassionevole della ragazza l’aveva inconsciamente dissuaso da ogni tipo di reazione. Rimase pietrificato dove si trovava mentre scorgeva ai piedi della folla inferocita due persone coperte di sangue che venivano atterrate di calci.
La folla improvvisamente si disperse e solo allora riconobbe nei volti delle due vittime quelli dei genitori della bambina.