Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? – Johan Harstad

Mattias ha scelto di essere solo un ingranaggio dell’esistenza. Ha una voce prodigiosa ma non vuole in nessun modo ritrovarsi sulle scene, non vuole il successo, non vuole la fama, non vuole primeggiare in nulla per quanto ne avrebbe tutte le capacità. Come il suo idolo, l’astronauta Buzz Aldrin ovvero il secondo per eccellenza, vuole solo condurre una vita ritirata e tranquilla facendo giardiniere di un vivaio in Norvegia. Mattias ha usato la sua splendida voce una volta sola, per conquistare la fidanzata Helle ai tempi delle superiori, per poi rifiutare ogni genere di esibizione nonostante le pressioni dell’amico Jørn. La nicchia in cui si è rintanato Mattias tuttavia crolla improvvisamente insieme a tutto il suo mondo, lasciandolo privocopertina-iperborea di ogni riferimento e nella necessità di ricostruire tutto dall’inizio.

Arrivo a “Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?” dopo l’ultimo viaggio in Norvegia per puro caso, cercavo su internet degli scrittori norvegesi (che io ricordi conosco solo Knausgard e devo ancora leggerlo) da un elenco di wikipedia e mi cade l’occhio su Johan Harstad che attira la mia attenzione perché Harstad è una città in cui sono stato. Leggo la trama di questo romanzo e la trovo interessante, quindi decido di comprarlo. E’ edito da iperborea, la stessa casa editrice de Il giorno dei Morti, le cui edizioni sono riconoscibilissimi per il particolare formato di stampa che, per ora, ho trovato solo nei suoi libri che sembrano tutti un catalogo di vini e questo incredibilmente senza andare a pregiudicare la qualità delle sue pubblicazioni.

Il libro è decisamente una sorpresa poiché, nonostante un inizio poco originale in cui più o meno si intuiscono tutti gli avvenimenti che fanno da miccia al resto del romanzo nella prima manciata di pagine, tutto il corpus costitutivo dello svolgimento è al contrario piuttosto imprevedibile. Lo stile è molto scorrevole e cattura l’attenzione dall’inizio. Harstad è molto chiaro e limpido nelle sue incursioni anche se spesso c’è una sovrapposizione e una mescolanza tra il suo stile e la personalità del protagonista che vanno a confondersi l’una all’altra in alcune attribuzioni della lettura. Si esperisce infatti una sensazione di flemma, freddo e di cristallizzato ma non si riesce a capire fino alla fine se dipenda dallo stile dello scrittore o dalla peculiare caratterizzazione del suo personaggio. Risulta straniante in certi momenti perché è come se ci fosse una sorta di distanza nel narrato, una smarrimento emotivo. Tuttavia, qualunque sia la risposta, non è realmente importante quale sia l’origine di questo clima perché l’atmosfera intrigante finisce per fare da padrona assoluta in queste pagine. L’unico limite reale di questo scritto sta nel finale che non fa il botto e rimane poco convincente a dispetto di uno sviluppo assolutamente sapiente e ben orchestrato.

Al contrario, il vero punto di forza risiede nella singolarità del suo personaggio, un talentuoso (canterà anche bene ma ogni volta in cui decide di esibirsi finisce per fare dei casini..) che vuole stare da parte e che sceglie consapevolmente di non essere nessuno (“certe persone non vogliono il mondo intero anche se potrebbero averlo“) anche se non necessariamente per vigliaccheria, per quanto ci siano segnali di paura nel vivere (“chi è solo delude solo se stesso.“), in un tentativo di rivalutare e ribaltare la figura del vincitore perché “serve una forza di volontà immensa, e fortuna, e abilità per arrivare primi. Ma serve un cuore gigantesco per essere il numero due.“, che sicuramente non è comune. Nella società attuale (ma in generale nella storia) siamo abituati a portare sugli altari della gloria i primi, i campioni, i grandi nomi e finiamo per dimenticarci o per ignorare volutamente chi fa scelte diverse i talentuosi nascosti, i registi nell’ombra, i ghostwriter della vita, il popolo. Perché vicino a chi esige di stare sul carro dei vincintori c’è sempre qualcuno che ha lavorato senza pretendere niente, che ha fatto da spalla e magari ha contribuito pesantemente alla riuscita del successo finale senza averne nulla. Mattias non è solo un secondo immenso, è anche un uomo perennemente in fuga che prima o poi si vedrà comunque costretto a fare i conti con se stesso (“ero già stato scoperto da un pezzo, ma la mia testa era infilata nella sabbia e avvitata al fondo, con i piedi che spuntavano fuori come due inutili pali di confine“) attraverso una nuova prospettiva su ciò che significa “essere secondo”.

Curiosità musicali : Il libro è separato in quattro parti, ognuna delle quali prende il nome da un album dei Cardigans le cui motivazioni diventano chiare durante la lettura. L’altra curiosità è che vengono citati i Mods, vecchio gruppo rock norvegese, e la loro canzone Alexander contenuta nell’album Amerika (1982) che, ammetto, non è male.

Secondo me....

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