Un poco di Naha…
Impatto. La prima impressione di Okinawa mi arriva direttamente dallo scalo aeroportuale di Naha, la città capoluogo. In attesa di recuperare i nostri bagagli mi guardo in giro e vedo un enorme cartello con tutti gli articoli che è proibito trasportare in Giappone. Non sono tanto le armi e quello che solitamente in tutti gli aeroporti del mondo è proibito trasportare a stupirmi, quanto il fatto che sia esposto un divieto chiaro ed enorme a introdurre immagini pornografiche e di nudo, esemplificate pure in maniera piuttosto esplicita. E già immagino mandrie di erotomani che non possono separarsi dalla propria collezione di Playboy che vengono bloccati alla frontiera mentre si aggrappano disperatamente alle pagine dei giornali stipati dentro alle valigie al posto dei vestiti. La cosa strana è che le riviste giapponesi che in seguito troverò in esposizione nei supermercati sono un upgrade dei nostrani Novella 2000 (esiste ancora?), in cui al massimo svettavano dei topless, perché qui il nudo integrale in copertina (non paparazzato) su riviste “apparentemente non principalmente” erotiche mi sembra molto più frequente che da noi, seppur in forme meno volgari. Non mi è ben chiara la natura di queste riviste, piuttosto spesse in termini di pagine, perché ad una rapida sfogliata vedo alternarsi manga erotici (per una interessante disamina rimando alla pagina di wikipedia), articoli vari sex-free e un paio di pagine dedicate
al connubio donne nude e gatti, non so se in riferimento all’arcinoto doppio senso dell’inglese o perché donne e motori qui risultino poco interessanti. E in tutto questo mi pareva di ricordare che ci fosse una certa censura visiva in Giappone a proposito del nudo..Di certo non vedo tanta “mangosità” in giro. Anche se, a guardar bene, qualcosa si scorge.. La seconda cosa che noto è che sul mio volo, come in aeroporto, ci sono parecchi americani che nel momento del ritiro bagagli si rivelano essere chiaramente dei militari; lo zainone verde non lascia margine di dubbio se non bastasse il fisico da vitellone tipo Bradley Cooper in American Sniper che un tizio con un fare arrogante e stuzzicadenti in bocca esibiva da una camicia bianca tre taglie in meno della sua. E questo perché dopo la II Guerra Mondiale (Okinawa è stata teatro di una sanguinosa battaglia) sull’isola sono ubicate diverse basi americane, peraltro non proprio ben viste a causa di alcune violenze protratte dai militari ai danni degli isolani, la cui presenza ha modificato diverse abitudini, tra cui quelle culinarie (ci spiegano che prima non si mangiavano carni rosse mentre adesso ci sono molti locali, oltre alle solite catene di fast food, che cucinano bistecche [peraltro niente male..]) che alcuni imputano alla diminuzione della durata di vita media, che prima era una delle più longeve al mondo.
Mangiare. Rimanendo sul cibo, visto che da buon italiano è la prima cosa che guardo e che spesso ci si chiede se mangino veramente sushi, mi ritengo piuttosto soddisfatto perché è decisamente migliore di quello assaggiato a Macao in cui, pur cambiando ristorante e piatto ad ogni pasto, dopo otto giorni aveva sempre lo stesso sapore. E questo nonostante ci siano anche diverse influenze cinesi in quello che è diventato il cibo tradizionale perché Okinawa fino al 1879 era un regno indipendente (Regno delle Ryūkyū) che commerciava con le potenze vicine tra cui, appunto, la Cina a cui doveva pagare dei tributi. Per rispondere alla domanda, i giapponesi non si ammazzano di sushi ma lo mangiano probabilmente con la stessa frequenza con cui noi mangiamo la pizza e, tutto sommato, non è nemmeno poi tanto diverso da quello che si mangia da noi (è pur sempre riso e pesce crudo). In compenso il sushi e i maki sono buonissimi anche nei supermercati (da noi non si può dire lo stesso). Comunque culinariamente si varia parecchio, ci sono ristoranti che cucinano solo carne impanata in una quantità di maniere che sono difficili da enumerare, quelli specializzati solo in primi piatti di riso o soba e quelli in cui si può ordinare di tutto. Nei centri commerciali è facile trovare accanto alle più note catene americane anche fast food di cibo giapponese che oltre ad essere economico è pur sempre dignitoso e più piacevole di quello cinese (si, l’ho trovato veramente insopportabile). Le tre volte in cui siamo andati a mangiare in ristoranti in cui spendere un pochino di più (bisogna solo fare attenzione che a volte il servizio e le tasse vengono aggiunte solo in un secondo tempo rispetto ai prezzi esposti se non ci sono indicazioni) il livello saliva decisamente ma si rischiava che diminuissero le porzioni o di finire in locali turistici. In una locanda tradizionale abbiamo avuto modo di mangiare veramente bene senza spendere uno sproposito (ricordo un’alga scoppiettante della stessa consistenza del caviale e un tofu [yu o qualcosa del genere] dal sapore contemporaneamente alcolico amaro e dolce [squisito] oltre al tipico awamori, distillato di riso, bevuto diluito con acqua e ghiaccio in un boccale da birra) e assistere ali prodigi dell’unico uomo con il dono dell’ubiquità in grado di servire ai tavoli, prendere le ordinazioni e far pagare il conto a qualcosa come una trentina di tavoli con una celerità impressionante (e non escluderei che fosse pure in cucina). Una sola cosa è certa: il riso c’è praticamente sempre in qualunque piatto. In una terrificante nostalgia italica invece sono stato trascinato in una pizzeria che proponeva pizza “Spinacci“, “Prosuuto e Rudola” (salvo poi scriverla correttamente tra gli ingredienti) e “Boscaiolre” in cui ho dovuto ammettere che in Italia ho mangiato pizze senza dubbio peggiori di quella. Il momento di cui avevo maggior terrore rimaneva per me la colazione. Al mattino necessito di dolci (lo so che è questione di abitudine e bla bla) e proprio non riesco ad affrontare da appena sveglio salmone affumicato, salsicce, uova, fagioli alla texana, bacon o robe simili. Per questo mi ritrovavo inizialmente in locali di dubbio gusto. Ma poi ho scoperto i cornetti con il ripieno di crema di fagioli rossi. Ed è stato amore. Ricorda vagamente la marmellata di castagne e pare che sia di uso comune non solo adattata in questa forma ma anche come ripieno per dolci a forma di pesce simili a pancake, in soffici roll di simil-pandispagna e soprattutto nella granita. (Ottimi!!!!) Purtroppo non riesco a provare la stessa soddisfazione per il tipico dolce fatto con la patata viola che non sapeva veramente di niente..
Da vedere. Okinawa è famosa per le sue spiagge bianche e il mare cristallino situate al nord o negli isolotti circostanti raggiungibili via nave o via aereo. Noi stavamo a Naha. A sud. E per varie questioni (nell’ordine: di scazzo, metereologiche e di lavoro) non ci siamo mossi così tanto da goderci queste fantasmagoriche spiagge. In compenso c’è stato il tempo di esplorare Naha in lungo e in largo. Tanto per cominciare sarebbe il luogo di nascita del Karate ma non ho incontrato un dojo nemmeno per sbaglio. Solo un locale che usava quel nome ed era un club/pub. Tutte le altre attrazioni sono visitabili in due giorni pieni e non di più. Una delle tappe più gettonate è Kokusai Dori (International Street) in cui sono presenti tutti i negozi, ristoranti e locali più turistici della città in un tripudio di luci molto più garbate ed eleganti di quelle viste a Macao. Si scende alla stazione di Makishi della monorotaia (si, ogni volta in cui la nomino canticchio questo) e ci si ritrova esattamente all’inizio di
questa via lunga circa 2 km che percorre tutta la città. Prodotti tipici di vario tipo ed oggettistica rivolta al turismo affiorano da ogni angolo, compresi quegli esseri a metà tra leoni e cani chiamati shisa (a quanto pare da non confondere con shishi che è cinese anche se più o meno la stessa cosa) che solitamente vengono messi in coppia all’ingresso delle case, a destra quello con la bocca aperta e a sinistra quello con la bocca chiusa, rispettivamente per spaventare gli spiriti maligni e per trattenere quelli buoni, in vendita praticamente ovunque. Circa a metà cammino si incontra l’ingresso del mercato coperto Heiwa Dōri decisamente molto più particolare e caratteristico anche se sempre molto turistico, in cui i negozi assumono un’aria molto più folkloristica e leggermente meno finta o troppo moderna, tra cibarie,
ceramiche, vini e sanshin appesi (il tipico strumento a tre corde dell’isola il cui suono accompagna la passeggiata in Kokusai Dori, volenti o nolenti). Per scovare “l’utile superfluo che rasenta il geniale” tipico dei giapponesi è meglio cercare un negozio della catena (o almeno suppongo che lo sia) Tokyu Hands in cui non esiste limite a quello che si può trovare: dalle maschere di bellezza dipinte in stile Kabuki (ma anche dei Kiss) fino ad un aggeggio elettronico che fa venire la schiuma nella birra con delle vibrazioni, passando per una serie di oggetti tanto superfl
ui quanto utili e curiosi (No, il Caffé Fika l’ho preso da un’altra parte) per la cucina, il giardinaggio, l’elettronica, l’estetica,.. veramente geniali. Altre due attrazioni di Naha sono vicine alla fine della via turistica. La prima sono i Fukushu-en Gardens, dei giardini cinesi ad ingresso libero veramente suggestivi in ogni angolo, mentre la seconda è il tempio Naminoue Shrine che a cercare foto su google esce sempre qualcosa di simile al posto strafigo che si vede nella foto qui a fianco usata dalla pagina di wikipedia inglese mentre la realtà è leggermente diversa. La foto infatti è stata scattata sicuramente in condizioni eccezionali perché quella spiaggia è quasi completamente occupata da un marciapiede in cemento (che si intravede nell’angolo buio) mentre esattamente di fronte alla scogliere ci sono due sopraelevate sorrette da piloni di cemento esattamente in mezzo al mare a pochi metri da quella spiaggia la cui acqua, probabilmente a causa dell’orario, non è proprio di un colore cristallino. L’ultima attrazione è il
Castello di Shuri raggiungibile sempre con la monorotaia (Monorotaia!! Monorotaia!! Monorotaia!!) la cui stazione è al capolinea (è difficile sbagliarsi perché l’altro capolinea è all’aeroporto) che si trova sopra le alture alle spalle della città e che rappresenta il punto più alto visibile di giapponesità architettonica antica, anche se presumi
bilmente ricostruito. Bello e grande, con diversi siti da visitare. E’ tutto. Chiedo disperatamente ma, dopo il Museo, non c’è più altro da vedere. Solo le spiagge. Quando ci spostiamo a Ginoza per un giorno incappiamo in una tipica tomba a guscio di tartaruga ma non faccio in tempo a fotografarla quindi mi accontento di un tombino che sul momento mi era sembrato molto interessante ma a guardarlo ora parecchio meno. Vediamo anche una spiaggia ma non sembra proprio così bella come nelle foto su internet..
Le persone. Ad un occidentale certi aspetti possono sembrare piuttosto particolari. I giapponesi sono persone estremamente gentili, educate e formali, ringraziano quando entri in un negozio, quando stai per comprare qualcosa, quando l’hai comprata e quando te ne vai in un tripudio continuo di “arigatou gozaimasu” e di inchini a cui replichi allo stesso modo per non sentirti scortese o stronzo, sorridendo imbarazzato perché veramente sarebbe insopportabile mancare di rispetto a chi si dimostra così disponibile. Da qualche parte leggo che hanno una moltitudine di modi per ringraziare per le varie situazioni ma sono già in difficoltà con una. Non parlano tanto l’inglese, lo intendono poco, ma diventano matti pur di capire e di rispondere ad una richiesta, in particolare nelle attività commerciali. Nell’ambito lavorativo sono sicuramente quelli che hanno fatto di più (leggi “praticamente tutto loro addirittura prima del mio arrivo“) in due anni di esperienze in vari luoghi. Alcuni aspetti possono invece sembrare incomprensibili come la proibizione di fumare all’aperto, (chiaramente indicata sul lastricato di alcune strade come Kokusai Dori) che se non è proprio sempre
sanzionata in tutte le strade ci viene comunque detto che può essere facilmente scoraggiata da richiami da parte della polizia (comunque in giro vedo gente fumare all’aperto), ma non nei luoghi chiusi; oppure l’obbligo/invito a togliere la suoneria al cellulare e a parlare a bassa voce/stare in silenzio quando si è sulla monorotaia, se non addirittura a spegnerlo quando si è vicini ad una donna incinta, mentre nei ristoranti può capitare di sentire camerieri gridare da una parte all’altra del ristorante. Altri aspetti invece possono risultare alienanti ma funzionali nella logica di un bene maggiore. Basta osservare il conducente della monorotaia per rendersene conto: ad ogni fermata deve eseguire una serie di azioni precise e stereotipate che vengono ripetute senza differenze apprezzabili ad ogni singola stazione con una rigidità e compostezza (allo stesso tempo eleganza) veramente indescrivibili che suppongo abbiano un senso per questioni di sicurezza ma che lo rendono, letteralmente e senza esagerazione, molto più simile ad un automa che ad un essere umano.
Personalmente incappo in due soli problemi. Il primo è di natura tecnologica perché per qualche strana ragione dal mio cellulare non è possibile caricare le mappe del Giappone con Google Maps e qualcuno sostiene sia a causa di qualche strana legge governativa da bypassare con un’apposita applicazione creata esclusivamente con le mappe nipponiche. Non so quanto ci sia di vero ma nemmeno su flickr posso caricare le mappe dettagliate per dare la precisa indicazione geografica degli scatti. A proposito, qui le foto di Naha. Il secondo in realtà non si è posto ma avrebbe potuto se avessimo deciso di andare in una Hot Spring (che mi pare di capire fosse una specie di piscina con acqua naturalmente calda, quindi non propriamente una delle alterative papabili quando fuori ci sono quasi 40°C) ed è che molto probabilmente avrei dovuto rimanere fuori in quanto persona piuttosto tatuata. Mi spiegano infatti che l’accesso è interdetto a chi ha tatuaggi perché sono sinonimo di associazione mafiosa anche se, ultimamente, la questione dovrebbe essere cambiata visto che ormai la pelle disegnata non è più esclusiva di marinai, galeotti, mafiosi o popoli tribali quasi da nessuna parte..
..e le declinazioni di Cesso in Giappone.
Dopo aver visto un gabinetto giapponese nei Simpson mi aspettavo di trovare veramente un qualcosa con luci sfavillanti, fontane d’acqua colorata e musichette varie.
La realtà non è poi tanto distante..
Mi siedo sulla tavola e l’acqua inizia a scorrere. Alla mia destra c’è una specie di plancia di comando che non credo sia mai stata usata nemmeno dall‘Enterprise per i suoi viaggi interplanetari, con scritte in giapponese e con diversi simboli di cui riconosco quello universale di stop e inizio a premerlo continuamente senza risultati fino a che il flusso non si ferma da solo dopo alcuni secondi. Considerando che da piccolo avevo il terrore della catena del cesso e che la tiravo per poi precipitarmi di corsa fuori dal bagno, iniziamo molto bene. E questa atavica paura non tarda a ribussare alla mia porta perché l’acqua scorre praticamente ogni 5 minuti di sua iniziativa. Alla prima scarica mi lancio fuori dal bagno per lo spavento e mi ritrovo in piedi nella stanza come uno scemo. Il bagno è l’unico posto in cui mi senta tranquillo, rilassato e in silenzio, troppo concentrato a leggere per curarmi del resto (sulla cui sacralità mi ero espresso altrove) quindi ogni
rumore improvviso e inaspettato che possa venire da sotto la mia seduta non può che avere l’effetto di un terremoto. Manco avessi una bomba sotto il culo come in Arma Letale o si celassero bestie feroci dentro le tubature. Impiego parecchie scariche e diversi spasmi muscolari da navigato centometrista involontario prima di abituarmi allo sciacquone che scarica da solo. L’esplorazione della strumentazione è lasciata un attimo al caso ma mi lancio nella sperimentazione dei due getti disponibili (in uno ne trovo tre) che dovrebbero servire per lavarsi, uno rivolto più alle donne (credo) e l’altro suppongo per entrambi, a giudicare dai disegnini. Il getto d’acqua si può regolare per intensità e per temperatura ma per non complicarmi la vita lascio tutto come è stato impostato. Ovviamente funzionano solo se si è seduti sopra la tavola e dopo aver premuto l’apposito tasto si sente un rumore poco rassicurante a cui segue il getto d’acqua. Non so bene con quale dei due, ma l’effetto è quello di farmi sghignazzare come un pazzo per il solletico e per poco non salto di nuovo via dal gabinetto. Ok. Posso dire di averlo provato. Ma la tecnologia giapponese in fatto di gabinetti non si ferma qui. Questo era quella della mia camera ma se si usa un gabinett pubblico si può trovare, in aggiuta ai sopracitati, uno dei tastini più fighi che io abbia mai visto: quello con cui si fa partire il nastro registrato di uno sciaquone per coprire ogni forma di rumore sgradevole che si possa fare in bagno! Loro sono semplicemente dei geni, io invece un bambino perché mi divertivo
a schiac
ciarlo continuamente a caso come un coglione.
Ma due sono le altre vere rivoluzioni dei giapponesi in questo sottovalutato settore. La prima è un banale indizio di civiltà, ovvero la presenza nei gabinetti di seggioloni in cui lasciare i bambini sotto il proprio vigile sguardo di genitore mentre si sta comodamente seduti in bagno ad espletare funzioni corporali (o a giocare con i nastri registrati). La seconda è una maledetta barra a cui potersi aggrappare dentro le turche che ho sognato per tutti gli anni di scuola perché, come mi ha detto qualcuno di recente, “seduti a rana proprio non si può andare al bagno“.
Lo so che il water non fa bene, ma odio la turca.
Anni luce di distanza.
Ah mio caro, somma invidia perché sei ad Okinawa. Comunque i dolcetti a forma di pesce sono i taiyaki, è facile trovarli anche dagli ambulanti coi loro carrettini che te li fanno al momento, o con la crema di azuki o con una crema che sembra pasticcera ma mi sembrava più buona, forse perché caldissima. E poi i dorayaki pure son buonissimi, io ogni kombini che trovavo ne compravo due o tre da mangiare per strada, tanto costavano tipo 110 yen, meno di un euro l’uno. Solo che i gusti cambiavano e non sapendo leggere il giapponese non capivo cosa ci fosse dentro. Ho beccato di rado quelli con gli azuki, poi finivo sempre col pescare quelli con il miele o quelli con una crema bianca dentro.
I cessi sono una delle cose più belle che ci siano. La tavoletta riscaldata d’inverno è un piacere.
Ah, a proposito delle turche: ma hai visto come son strane? Sono fatte a ciabatta (tipo quella della foto però più lunga, con due buchi agli estremi opposti: tanto che io non ricordavo mai quale fosse il verso in cui indirizzarsi…
Non sono un amante di dolci (tranne l’indispensabile al mattino) ma sono contento di aver trovato un intenditore..
Purtroppo non ho potuto usufruire della tavola riscaldata fino in fondo vista l’estate e forse da una parte mi avrebbe infastidito perché avrei avuto la sensazione che qualcuno si fosse seduto prima di me..
La forma strana salta all’occhio, i due buchi non li ho visti neanche riguardando le foto..
No non era come quella della foto, era più allungata, sembrava proprio una ciabatta, la trovavo in tutti i bagni pubblici. Tra parentesi, nei bagni pubblici ho constatato l’assoluta mancanza di cose per asciugare le mani, quando ho chiesto alla mia amica giappa come facessero, ha tirato fuori dalla tasca un asciugamanino quadrato. Pare che tra i giappici sia un must girare con l’asciugamanino in tasca.
Mi sa che allora non ne ho visti di quel tipo. Non ricordo di essere entrato in un bagno pubblico. Ne ho visti solo da lontano e parevano quantomeno puliti ma non sapevo di questo must perché ovunque sia entrato ho sempre trovato da asciugarmi..
Magnifico reportage! Coltivo da tempo il sogno di andare in Giappone…. Devo solo superare la mia sofferenza per le troppe ore di volo.
Se ti può aiutare con me c’era un ragazzo che ha il terrore di andare sugli aerei quindi se è riuscito lui a farsi tutte quelle ore.. 😉
questo mi aiuta eccome…. Di quante ore si parla, esattamente? (gulp!)
Più o meno 14 ore di aereo effettivo ma immagino dipenda da dove vuoi andare.. 😉
14….. 😮
Se fai qualche scalo non sono consecutive….. 😉