Fotografie di Rodolfo Walsh è una raccolta di racconti pubblicata in Italia che riunisce in un volume unico “I riti terreni” (Los oficios terrestres) e Un chilo d’oro (Un kilo de oro), scritti rispettivamente nel 1965 e nel 1967 dal giornalista argentino ucciso dalla dittatura di Videla. Dieci racconti distribuiti tra la sparizione del corpo di una donna, una rivincita tramite la fotografia, un lungo inseguimento ad opera di bulli, il monologo di una sentinella, le vicende parallele di un proprietario terriero e di un contadino ignorante..in cui si mescolano elementi autobiografici, riferimenti storici, impegno politico insieme a momenti indecifrabili tra fantasia e realtà che finiscono per impastarsi e confondersi.
Ad eccezione di “Nota a piè di pagina” in cui il racconto viene lentamente soppiantato fisicamente proprio dalla nota a pié di pagina che prende sempre più spazio e righe mano a mano che si procede nella lettura (semplicemente una trovata geniale quanto la metafora stessa della vita a cui rimanda) lo stile di Walsh non risulta proprio facilmente scorrevole e a rapido assorbimento. Non so se questo sia dovuto ad una mia personale ed involontaria avversione per le modalità di scrittura sudamericane (sempre escludendo i cileni fino a questo momento) o a qualche inevitabile difficoltà nella resa di traduzione poiché le due curatrici dell’edizione definiscono la lingua di Walsh “un vero e proprio idioletto, una lingua personale [..] i cui accenti sono difficili da captare e da restituire nell’italiano di oggi (e probabilmente anche nello spagnolo di oggi) con la vivacità con cui dovevani risuonare nello spagnolo in uso in Argentina fra gli anni venti e sessanta, epoca in cui sono ambientati i racconti“. Tuttavia si fatica un poco a leggere i racconti di Walsh e dispiace perché si sta comunque parlando di una persona che come scrittore di “Operazione Massacro” ha anticipato di quasi dieci anni il filone del Romanzo Verità portato in auge da Truman Capote con “A Sangue Freddo“, come giornalista nel 1976 firmerà la “Lettera aperta alla giunta militare” in cui denunciava i crimini e le violenze della dittatura che porterà il suo nome ad aggiungersi sulle lunghe liste dei desaparecidos e come uomo sentiva di dover “rendere la mia testimonianza nei momenti difficili” a riprova del suo impegno politico e civile che risulta comunque ben tangibile nella sua prosa a tratti sfuggente ma molto più nitido nei suoi articoli infiammati.
A questo punto però mi fermo. Non vado oltre. Perché mi è capitato di rimanere ammirato e di lodare il talento letterario di scrittori che nella vita si sono rivelati biograficamente uomini piccoli e meschini ma proprio non mi va di esprimere giudizi che non siano di gradimento di fronte a chi si è dimostrato un grande uomo in vita. La prosa non coincide con la vita ma sarebbe come sporcare la memoria, mancare di rispetto ed uccidere una seconda volta il coraggio di chi ha affrontato la dittatura con una Lettera. Allo stesso tempo non voglio che si realizzi la frase di Walsh contenuta nel racconto “Lettere“, “La storia ha un’anima puttana: preferisce i superficiali, gli inutili, gli impotenti.” ma quella di due pagine dopo: “Gli uomini crescono quando muoiono.“
E Walsh ora dovrebbe essere un gigante.