La notte è una dama silenziosa avvolta in un velluto stellato senza fine. In lontananza, i rumori di pneumatici nottambuli sull’autostrada ancora bagnata cadenzano il regolare scorrere di un tempo infinito. I galli senza sonno annunciano un’alba ancora lontana nel momento in cui la notte è più buia.
La macchina blu approccia lentamente lungo la strada sterrata in mezzo ai campi di colza il cui giallo brillante diurno muore alla luce di una pallida mezzaluna calante. La polvere sollevata dalle ruote s’impasta al silenzio e alla tenebra mentre i cerchioni colgono bagliori di flebile luce in invisibili riflessi argentati. All’interno dell’auto la tensione plasma i volti di due uomini. Quello al posto del passeggero è un veterano della vita. Le sue mani dure e spigolose, scavate dalle brutture dell’esistenza sulla cui pelle iniziano ad apparire le prime macchie di una vecchiaia di cui ancora non riesce a sentire la stanchezza, giacciono dentro un paio di guanti neri. Un giovane in pantaloni scuri e maglia di lana tiene saldamente il volante e lo sguardo fisso oltre il cofano, dove non ci sono fari ad illuminare la strada. La macchina sobbalza improvvisamente ed è il veterano della vita a rompere il silenzio
<< Vuoi stare attento alle buche Cristo Santo?! Sei riuscito a prenderle tutte da quando abbiamo girato. >>
Il giovane non risponde e non distoglie lo sguardo dal parabrezza sporco e leggermente appannato attraverso il quale la notte sembra un lago di petrolio. Un flebile odore di cenere si solleva dal posacenere colmo di mozziconi di sigarette mentre una bottiglia di vetro inizia a tintinnare ossessivamente sbattendo contro il sedile posteriore. Il veterano della vita si sporge indietro, l’afferra per il collo e la lancia fuori dal finestrino aperto. Cade in mezzo al campo di colza senza fare rumore. L’impazienza e la rabbia come reazione all’insofferenza sono sempre state le sue più grandi debolezze che in diverse occasioni gli costarono grandi conseguenze. Errori da nulla, sciocchezze marginali ma che non vanno mai sottovalutate. La riuscita di ogni grande impresa sta spesso nella cura dei dettagli più insignificanti. Per questi motivi il veterano non ha mai concluso nessuna grande impresa; per leggerezza, per la mancanza di quello stato di concentrazione che conduce alla totale consapevolezza del presente e alla tutela di quei dettagli che possono salvare la vita.
Anche quella di un veterano.
Il giovane non dice nulla. La bottiglia è vuota. L’ultimo segno tangibile di una colossale sbronza a base di Jack Daniel’s e di una dormita all’addiaccio dopo il divorzio. Farsi trovare a letto con un’altra donna nella casa coniugale non è stata proprio una delle sue migliori trovate d’ingegno. Ma se lei non fosse tornata a casa prima del solito non si sarebbe accorta di nulla. Questione di pochi attimi, un’esitazione, un piccolo ritardo e non avrebbe dovuto dormire in macchina per una settimana. A posteriori, anche l’eiaculazione precoce sarebbe stata una manna dal cielo quella volta.
Una leggera brezza muove delicatamente la colza mentre poco più in là, in un campo incolto, lunghissimi fili d’erba si agitano come un’unica folla intenta a fare una ola in un movimento cadenzato da armonici soffi irregolari che rumoreggiano nell’aria sussurrando solitudini ancestrali raccolte nelle insidie di un luogo dimenticato da dio, lontano dalla civiltà.
Il rumore goffo dell’auto interrompe il vuoto silenzioso lasciato dall’alternarsi dei sussurri del maestrale mentre un brivido freddo si espande come elettricità nell’aria inquieta. Il veterano della vita giocherella pensieroso con la fede di oro bianco che porta al collo. La accarezza tra il pollice e l’indice guardando il riflesso del proprio volto sul vetro del finestrino. Il completo nero con camicia e cravatta sono la sua seconda pelle da troppo tempo perché riesca a vedersi in abiti diversi. Un’ombra scura gli copre il volto. Stringe la fede dentro al pugno e si batte un paio di volte sull’incavo del collo con ritmica delicatezza per poi mettersi il dorso della mano davanti alla bocca, rimanendo a guardare il passaggio che scorre fuori dall’auto con il gomito appoggiato alla portiera. Campi, solo campi, campi ovunque. Erba alta, terra incolta, fossati intasati e rigagnoli inutili. Non c’è nessuna differenza con un deserto. Eppure da bambino quei paesaggi erano una libertà. Pomeriggi interi passati con gli amichetti a giocare a pallone in mezzo al profumo dell’erba appena tagliata. Il primo bacio rubato alla collinetta, coricati sopra una coperta a quadretti, imbarazzati entrambi e senza sapere bene cosa fare ma con una gran voglia di farla. Il veterano si chiede che fine abbia fatto quel bambino perché l’uomo che vede riflesso non ha più nulla a che vedere con quel piccolo ingenuo. Una malinconia sottile prova ad entrare nel ricordo ma i calli sono ormai troppo induriti per concedere una breccia.
L’auto sobbalza nuovamente ma questa volta il veterano non dice nulla, si volta per guardare di traverso il suo copilota per immergersi poi nuovamente nei suoi pensieri. “Dio è il mio copilota” aveva letto da qualche parte “Il mio è un coglione” si ripete in testa.
Il giovane tiene le mani sempre saldamente sul volante ma prova a rallentare ancora un poco. In fin dei conti non c’è nessuna fretta. Vorrebbe accendere l’autoradio e sentire della musica ma sa che è meglio non contrariare il veterano. Un puzzo di alcol raggiunge le sue narici. Viene dalla sua bocca. Si mette una mano davanti e prova ad alitare per verificarne lo stato di contaminazione. Sgradevole ma accettabile.
Cambia marcia, affronta una curva a destra con un albero di noce a lato e subito scorge la meta.
<< Siamo arrivati. >>
Un vecchio capannone industriale abbandonato e delimitato da una recinzione in filo di ferro verde, interrotto da un’apertura che consente l’ingresso ad un ampio spazio frontale, svetta in fondo alla strada circondata da un piccolo boschetto di querce che infesta tutta la zona.
<< Accosta e lascia la macchina nello spiazzo dietro a quegli alberi. >>
Ordina il veterano.
Scendono entrambi dall’auto e accostano le portiere senza chiuderle. All’interno dell’abitacolo nessuna luce rimane accesa.
Iniziano a camminare ma il giovane fa segno di aspettare. Torna indietro dalla macchina, apre lo sportello e inizia a frugare all’interno del cruscotto fino a trovare una piccola scatoletta verde. La apre e si mette il contenuto in bocca, appoggia nuovamente la portiera e ritorna dal veterano ruminando e biascicando vistosamente.
<< Il chewingum era indispensabile. >>
<< Assolutamente si. Mi piace avere l’alito sempre fresco. >>
Non riesce a celare una smorfia di disappunto nello sguardo ma l’altro non sembra curarsene e risponde con un sorriso strafottente ed infantile.
<< Vuoi prendere anche una merendina e una coca cola per dopo, se ti venisse un languorino improvviso o vogliamo andare? >>
<< Ti prendi troppo sul serio, una risata ti seppellirà. >>
<< E tu scherzi sempre quando non è il momento. >>
<< Beccamorto. >>
<< Pagliaccio. >>
<< Vogliamo andare? >>
<< Ai suoi ordini sire! >>
Dice il giovane sottolineando la frase con un inchino esagerato e con un ampio gesto del braccio per indicargli la strada.
Il veterano fa strada lungo un sentiero in mezzo al bosco, lontano dalla strada principale. La pioggia della sera precedente sale dal basso sotto forma di umidità portando un forte odore di muffe e di selvatico. Le scarpe si infangano e si sporcano mentre il giovane rischia di scivolare maldestramente un paio di volte. La luce è poca ma entrambi si muovono agevolmente al buio, sanno dove devono andare e come fare per arrivarci, non hanno bisogno di torce. Camminano silenziosi in mezzo ad una selva impastata e fitta, in cui la tenebra accarezza il manto selvatico di animali in cerca di cibo.
Dopo tre quarti d’ora si ritrovano alle spalle del capannone, accucciati dietro ad un muretto di tondeggianti pietre di fiume ormai completamente ricoperte di muschio.
<< Se volevi portarmi a fare una passeggiata romantica nel bosco avresti almeno potuto scegliere una notte di luna piena. >>
Dice il giovane a bassa voce mentre il veterano risponde con un sussurro.
<< Va bene mi sono perso. Ma alla fine siamo arrivati no? Tanto lui non va da nessuna parte. Non voglio sentire battute o ti sparo. >>
<< Non ci facciamo proprio una bella figura.. >>
<< Che t’importa? Mica dobbiamo raccontarlo in giro! >>
Poi entrambi sollevano la testa oltre il muretto in direzione dell’edificio. Il silenzio è totale, nulla si muove più nella mortale calma piatta della notte. Si mettono in ascolto per diversi minuti ma non arriva nessun rumore che non sia il verso di una lontana civetta.
Il veterano della vita estrae una pistola imitato subito dal giovane.
<< Andiamo. Me ne occupo io. E’ una questione personale.. >>
e aggiunge serio
<< ..guardami le spalle. >>
<< .. mentre guardo il cielo che di te mi fido? >>
<< ..guardami le spalle.. >>
<< Cosa hanno che non va? >>
<< Coprimi le spalle. >>
<< Ah, è quello che non va? Hai freddo? Torno a prenderti una coperta in macchina? >>
<< Cazzo, parami il culo. >>
<< Quando lo hai lanciato? E comunque non mi chiamo cazzo. O non parlavi con me? >>
<< Andiamo avanti a fare gli spiritosi o proviamo a fare quello per cui siamo qui?! >>
<< Dai, sono anni che lavoriamo insieme, possibile che tu ancora non abbia imparato a conoscermi e ogni volta tu debba fare questa scena? >>
<< Sono nervoso. >>
<< Lo so. E io cerco di sdrammatizzare. >>
<< Perché non provi a sdrammatizzare qualche film drammatico? >>
<< Scusa ma non ti riescono bene i doppi sensi. Quando ti sforzi di essere simpatico sei quasi peggio di quando non lo sei. Cioè sempre, per inciso. Se devi inserire una mezza spiegazione nella battuta significa che o la battuta non funziona o dai per scontato che io sia così coglione da non capirla. >>
<< Almeno sulla parte del coglione ci hai preso. >>
<< Non è vero. Non lo pensi, ormai ti sei affezionato a me. Perché ricordati che con me ti sei sempre divertito! >>
<< Non quando abbiamo del lavoro da fare. E’ incredibile, nemmeno il divorzio ti ha tolto la voglia di scherzare. E comunque non sei divertente come credi. >>
<< Beccamorto. >>
<< Pagliaccio. >>
Il veterano della vita si alza e si dirige con passo felpato verso il capannone tenendo la pistola in mano sotto lo sguardo vigile del giovane che lo segue e si nasconde un poco più indietro. Passa rasente il muro evitando le finestre, si accuccia, si sporca i pantaloni sul sedere e striscia a terra fino a raggiungere una feritoia aperta attraverso cui sgattaiolare nello scantinato. Si cala delicatamente all’interno dell’edificio ma nel farlo si strappa una manica della giacca. Attende alcuni istanti per abituarsi all’oscurità fino a quando non inizia a scorgere i contorni di scaffali e mobilia gettata a terra abbandonata. Deve stare attentissimo a non fare il minimo rumore per arrivare di sorpresa al piano superiore. Scansa i cumuli di roba accatastati che ricoprono il pavimento, tra cui spicca un vecchio boiler arrugginito, e sinuoso cerca di dirigersi verso le scale. Il piede destro finisce dentro una chiazza scura oleosa che fortunatamente non fa alcun rumore ma gli imbratta le scarpe di un liquido viscido e unto che rende precario il suo slalom tra i residuati di epoche passate dell’ultimo avvento industriale. Il veterano soffoca nella tensione un sospiro di rabbia mentre con difficoltà raggiunge le scale. Dopo un paio di gradini inizia a scorgere una luce al neon che disegna una sagoma triangolare dalla porta lasciata semiaperta sul pianerottolo che conduce dal seminterrato al piano terra.
Arrivato vicino allo stipite prova a sbirciare dalla fessura. Si trova davanti ad un corridoio che prosegue alla sua destra e alla sua sinistra. Senza finestre, una luce mancante sul soffitto, non riesce a vedere nient’altro. Non sente nessun rumore. Scosta leggermente la porta. Non si vede nessuno. Il suo target non può essere lontano, il veterano sa che si nasconde da qualche parte in quel posto. Entra silenziosamente in tutte le stanze che incontra, puntando la pistola verso l’interno, fino a quando non inciampa inavvertitamente contro un mobile e fa cadere delle pesanti latte in alluminio il cui rumore si propaga in tutto il capannone lasciando un eco di alcuni secondi a sedimentare tra le pareti scrostate e ammuffite di quell’edificio abbandonato. Il veterano entra subito in stato di allarme, il cuore accelera i battiti mentre le tempie iniziano a pulsare. Un caldo inverosimile si diffonde in tutto il suo corpo in particolare nel busto tra le spalle e il collo mentre le ascelle diventano immediatamente madide di sudore. Cerca di scorgere il minimo rumore ma tutto rimane invariato. Attende alcuni istanti immobile poi sente una serie di rapidissimi passi trasformarsi in una corsa avventata, una porta sbatte ed intravede appena una figura in Jeans e felpa capiccollarsi fuori da una stanza, correndo a perdifiato verso la porta d’ingresso. Il veterano esplode un paio di colpi alla cieca e al frastuono dei proiettili che rimbomba in ogni stanza segue un rumore di vetri andati in frantumi. Subito dopo si lancia all’inseguimento del fuggitivo che nel frattempo inciampa sullo zoccolo all’ingresso e vola all’esterno spiaccicandosi con la faccia a terra. Non fa in tempo a rialzarsi che il veterano è già sopra di lui, lo gira sulla schiena e gli assesta un calcio allo stomaco e due diretti al volto.
L’uomo rimane a terra dolorante a rantolare mentre il veterano gli ammanetta i polsi dietro alla schiena.
<< Non credo di dover aggiungere altro. Sai cosa ti aspetta ora, schifoso infame. >>
Gli dice poco prima di alzarsi in piedi.
L’uomo è rannicchiato su se stesso e con la bocca sanguinante. Sta soffrendo visibilmente ma quando la tenebra si dirada dal suo volto per un attimo, il veterano lo vede guardare oltre le sue spalle per poi sorridere soddisfatto. E’ una frazione di secondo, il suo cervello non ha nemmeno il tempo di processare l’incongruenza che una specie di tuono sorprende il suo stato di allerta permanente dandogli solo il tempo di sgranare gli occhi perché subito un dolore fortissimo lo coglie al centro della schiena. Le gambe cedono improvvisamente come se fossero esplose e ridotte in poltiglia. Il veterano cade brutalmente a terra, perde di mano la pistola e si ritrova sulla schiena mentre un fiotto caldo fuoriesce copioso inumidendo rapidamente il suo vestito scuro.
Non ha nemmeno il tempo di muoversi che vede apparire nel suo campo visivo il giovane con la pistola in mano e la canna puntata verso di lui.
Il veterano alza lo sguardo sopra la testa del giovane e vede il sottile spicchio di luna calante, una scheggia luminosissima dietro al quale scorge la sagoma rotonda e scura del resto di luna non illuminata. Non sembrano nemmeno due parti di uno stesso corpo ma due lune distinte poste una davanti all’altra, le prima splendente ma sul punto di spegnersi e la seconda buia e tetra, come un’ombra inquietante che ne segue la sorte, come una condanna, un peso minaccioso, un buco nero che sembra inghiottire vorace quella piccola fessura abbagliante.
<< Desolato. >>
Gli dice il giovane con un sorriso indecifrabile mentre allunga il braccio per mirare al volto.