Fuori da Facebook

Ero ancora all’università quando decisi di iscrivermi. Detto così sembra che siano passati decenni ma al massimo può essere uno solo. Un compagno di corso me ne parlò in toni entusiastici come uno strumento stupendo per condividere foto e comunicare e, nonostante molte resistenze iniziali (pensavo ad una sorta di Myspace che mi era sempre sembrata una roba completamente inutile), aprii un profilo personale. Ammetto di essermi divertito un sacco ad inventare inizialmente stati spiritosi e ad assecondare per la prima volta nella mia vita l’esigenza di smetterla di nascondermi e di celarmi dietro silenzi per provare invece a propormi e far uscire aspetti che in qualche modo avevo sempre celato e tenuti al sicuro nella mia testa o tra le mura di casa. Tenere tutto dentro, controllarsi, prima o poi porta alla spinta opposta, al vomitare compulsivo fino a quando non diventa un piacere fine a se stesso, la ricerca di un palco, di una approvazione per sentirsi meno soli. Aggiornare la mia vita e leggere quella degli altri colmava la mia solitudine, quella sana e naturale che accompagna determinati momenti dell’esistenza ma di cui mi sfuggiva il valore educativo. L’illusione era quella di trovarmi in una piazza irreale e fittizia in compagnia di tante persone con cui poter avere scambi. Allacciare rapporti e mantenerli era facilissimo, una breve ricerca, una richiesta ed ecco che abbiamo stabilito un legame, ti posso parlare ogni volta in cui lo desidero. Tutti sono raggiungibili e avvicinabili. E chissà che così non sia anche più facile essere notato da qualche ragazza. Perché quando sei introverso e non particolarmente loquace inizi ad affidarti, vuoi per pigrizia e insicurezza, alla speranza che siano gli altri a notarti pensando di dover fare come Quasimodo, a guardare da lontano per la paura di un rifiuto, mentre è incredibilmente naturale e sano che da un incontro non scaturisca nulla quando non c’è nessun interesse reciproco.

Così accumuli amici, persone che hai visto una volta, che vorresti rivedere, a cui dai libero accesso alla tua vita, alle tue abitudini, alle tue frequentazioni, alle tue debolezze in maniera più o meno volontaria, più o meno autentica, più o meno reale. Quando sai di essere osservato è difficile riuscire a rimanere se stessi, automaticamente si cerca inconsapevolmente di apparire migliori oppure, anche se sembra strano, peggiori di quello che si è. Esibirsi sopra di un palco è come farsi spolpare un poco alla volta illuminando quelle zone d’ombra la cui tutela è in qualche modo indispensabile per la salvaguardia della propria persona. Nelle situazioni da mercato prolifera il pettegolezzo in maniera incontrollata con il meccanismo del telefono senza fili, io dico una cosa a te, tu la dici a lui e dopo 10 passaggi (o anche meno) l’informazione iniziale sarà completamente stravolta. La lettura su facebook è superficiale e vede il proliferare sensazionale di cazzate clamorose che godono di una diffusione epidemica di natura esclusivamente emotiva e senza nessun filtro ragionato. Pericolossissimo. L’indignazione è facile da scatenare. Mi ritrovavo a litigare per stupidaggini e per divergenze di opinioni non tanto per le questioni in se, quanto per forme di ragionamento che trovavo inconcepibili. “Non so se sia vero ma preferisco crederci“. Cosa dici ad una persona così e che pure non pensi sia un imbecille? Come fai a trattenerti dal fanculizzare una risposta così ottusa a prescindere dall’argomento? Stai diffondendo una notizia che non sai se è vera e nel dubbio ci credi comunque? “Nel dubbio tiro merda“, è questo il tuo modo di agire? Penso a tutte le lezioni che mi hanno impartito sull’attendibilità, sulle fonti e le vedo in un trogolo masticate dai maiali. E’ lecito (o  meglio comprensibile, perché può capitare a tutti) prendere delle cantonate per leggerezza ma non con intenzionalità. E quel posto in cui mi rendo conto di passare troppo tempo inizia a non piacermi più di tanto, troppi litigi, troppe informazioni di cui fondamentalmente non mi frega  nulla e troppe persone con accesso alla mia vita senza che ci sia quella confidenza basilare per poter sapere qualcosa di chi sono. Non c’è reale interesse ma solo adesione superficiale. Inizio a sentirlo come un palchetto per i miei sfoghi narcisistici (che non sono molto diversi dallo scrivere su questo blog, anche se nella mia testa mi giustifico dicendomi che quantomeno c’è uno sforzo “creativo”), per sentirmi apprezzato, e voyeuristici, per confrontare la mia vita con quella degli altri perché se vedo che qualcuno sta passando attraverso i miei stessi inferni mi sento meno tapino. In entrambi i casi mi rendo conto che mi serve per sentirmi meno solo. Ma più di tutto mi rendo conto che lo usavo per riempire gli spazi di noia, come quando si fuma perché non si sa cosa fare, e che sommando tutti i rapidi ingressi durante le giornate accumulo almeno un’ora e mezza del mio tempo che spreco senza aver fatto nulla. Un’ora e mezza che avrei potuto dedicare alla lettura, a cucinare, a passeggiare, a prendere un caffè con un amico e che diversamente non aggiunge nulla alla mia vita ma solo raramente mi arricchisce con qualcosa che non sia banale o futile.

Oltre allo spreco di tempo, decido di cancellarmi anche perché vedevo che alimentava aspetti non propriamente costruttivi della mia personalità, perché mi distraeva, perché faceva leva sulle mie debolezze in maniera programmatica e costruita, perché usava i miei dati personali per farmi diventare un piccolo spazio di mercato in cui cercare di vendermi quello di cui i mastri di statistica hanno calcolato potesse interessarmi in base a quello che dico di me e perché mi terrorrizzavano quelle persone che vedevo switchare continuamente dal cellulare alla conversazione reale, passare continuamente dal lavoro ai commenti e agli stati. L’incapacità di stare nel qui e ora mi fa paura. Perché le risorse attentive sono esigue e prendere un treno sulla schiena è un attimo se sei troppo impegnato a guardare le tue mani. E la cosa buffa è che, proprio come il fumare, entrare su facebook era diventata un’abitudine automatica. Me ne accorgo immediatamente dopo essermi cancellato perché per una settimana accendo il pc e mi ritrovo davanti a google pensando : “Che cazzo faccio adesso?” sentendomi anche un po’ coglione ogni volta in cui mi ritrovo davanti al pc con l’espressione smarrita di chi si trova lì senza sapere come ci è arrivato e perché, per fare cosa poi. Gli impegni lavorativi e le mie ossessioni sono di grande aiuto per stare lontano da quel mondo virtuale ma hanno la controparte di allontanarmi anche dalle relazioni reali quindi quando ritorno a casa, non più di un mesetto fa, mi sento isolato e solo, con troppo tempo e nessuna prospettiva. Perché nel frattempo sono cambiato, sono meno introverso, mi piace molto di più parlare e ho piacere ad incontrare persone. Dopo mesi di assenza mi ritrovo a valutare l’ipotesi di rientrare per riprendere contatti, perché è sempre difficile far combaciare gli impegni di tutti e riuscire a trovare un momento per prendersi un caffè e dopo tutto quel tempo trascorso via, in cui è lecito sentirsi alienato, quando torno a casa capisco che non deve andare così nei posti in cui sono cresciuto. Inserisco mail e password ma poco prima di cliccare mi fermo perché è di nuovo l’emotività che mi sta fregando mentre la razionalità mi ricorda che non farà alcuna differenza. Sento l’ansia di non volermi sentire solo senza considerare che purtroppo o per fortuna lo sarò comunque e sempre, che l’esercito di voci che possono farmi compagnia sono solo circostanze se non sono corredate di un assaporarsi reale e del piacere di scoprire, raccontare e raccontarsi di persona. Ma più di tutto accetto che le relazioni non sono immediate, che non devono essere a nostra disposizione ma avere il loro spazio per svilupparsi o anche per morire. Perché il piacere di tenere contatti remoti, di cercarsi, non sempre è reciproco e finisce per essere esclusivamente a senso unico e le relazioni autentiche non funzionano mai così. Ma più di tutto scopro che l’unica cosa da cui sono escluso è dal clamore del mondo virtuale e da qualche evento perché le persone si incontrano comunque fuori dalla rete e alcuni contatti, allo stesso modo, rimangono.

Quando un piacere diventa un’abitudine smette di diventare un piacere e si trasforma in una consueta dipendenza.

13 pensieri su “Fuori da Facebook

  1. colgo l’occasione per chiederti come, proprio tecnicamente, sei riuscito a cancellarti, perché io saró anche molto imbranato, ma proprio non mi riesce…

    puoi rispondermi anche via mail… 🙂

    • Non so se sia banale ma è sicuramente vero nonostante creda che le circostanze abbiano comunque una parte di peso nelle scelte.
      A distanza di nove mesi, ti dirò, la mia vita non è cambiata per quello.. 🙂

        • Ne conosco di persone con quel problema, in parte non le capisco (e forse le osteggio anche un poco) in parte ci vedo un forte disagio che non ha necessariamente a che vedere esclusivamente con il singolo individuo ma anche con un generalizzato modo di gestire i contatti. L’esigenza di vicinanza è naturale e questi mezzi la soddisfano oltremisura, fino alla dipendenza, in una maniera non sana.. O almeno a volte ho questa impressione..

          • Anche io ne conosco. Tantissime. Il punto è proprio la dipendenza che non ci rendiamo conto di subire, convinti di non esserne intaccati. Quella poi nasce dal bisogno che crediamo di avere per cose che bisogno non sono.

  2. Complimenti per il tuo suicidio virtuale! (si dice così se non sbaglio!) Ci avevo pensato pure io ma per ora mi solo limitato ad eliminare il 90 % dei miei “amici” ed ho smesso di commentare post politici, sociali, ecc ecc… Ogni volta mi ritrovavo a litigare con qualche coglione che si credeva super intelligente! Molto meglio la vita reale!

  3. Ci penso da tempo. Da alcuni mesi, ormai, chiudo con un “bah!” o con un “bleah!”
    Però mi sento in trappola perché mi sono iscritta ad un interessantissimo gruppo relativo ai miei interessi lavorativi, da cui non posso separarmi. Quindi penso che intanto eliminerò anch’io il 90% dei contatti….

    • Quando decisi di cancellarmi le prime resistenze erano proprio quelle, perdere i contatti con persone che avevo solo su fb o con i gruppi che seguivo. I contatti su fb che avevo paura di perdere in realtà erano relegati solo a fb, persone che non sento mai o del mio passato o con cui per un motivo o per l’altro non si è portata avanti nessuna forma di frequenza reale, perché tutte le altre hanno il mio recapito di cellulare piuttosto che skype e, se c’è interesse, ci si vede/sente comunque o si trova un modo. Sugli interessi, per quanto mi riguarda, la parte di accrescimento era piuttosto illusoria e in qualche modo mi sono organizzato diversamente. Con qualche giusto sfottò, tipo se ho intenzione di ritornare alle lettere o al piccione viaggiatore.. 😀 e anche qualche esclusione ma che in realtà è veramente marginale rispetto alla sensazione di aver recuperato del tempo, la mia privacy e una dimensione più sana.. oh, poi non si può mai sapere, magari sbrocco e torno indietro.. 😀

      • Condivido pienamente questo tuo pensiero. Personalmente, al di fuori di questo supporto tecnico di cui parlavo, davvero non ho guadagnato nulla sul piano delle relazioni; e la pochezza dei contenuti è proprio disarmante.
        Perdi molto, invece: perdi la libertà in quel controllo compulsivo delle novità; perdi tempo, come dici tu esattamente; perdi anche obiettività, in quel farsi trascinare da pubblici proclami. Bah! E bleah!

Secondo me....

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