La strada per arrivare alla Maison Bleue era esattamente nel mezzo di una brutta curva priva di visuale ed iniziava subito con una breve salita impervia al cui termine c’erano pozzanghere e buche. Di quelle che ti costringono a frenare per non scassare le sospensioni e a rallentare bruscamente anche se hai dovuto accelerare con decisione per riuscire a salire. Il resto è sterrato fino a quel punto in cui la strada diventa di cemento e sale così tanto da schiacciarti sul sedile. Non ci penso le prime volte ma alla quinta o sesta ricordo di aver già visto quella salita e di aver già vissuto quella sensazione, ripetutamente ed ossessivamente, in uno dei miei sogni ricorrenti. Quello in cui guido la mia macchina su di una strada che improvvisamente inizia a salire sempre di più fino a diventare verticale, fino al punto in cui le ruote non riescono più a fare presa, fino a che non si ribalta e precipita nel fondo di un burrone con me dentro. Non mi svegliavo particolarmente angosciato. Forse credevo che certe questioni se le dovesse sbrigare il mio inconscio. Vorrei che mi parlasse più chiaramente a volte. Non con tutti questi simbolismi, pure ovvi, vorrei un dialogo più diretto e aperto, da buoni amici. Non so se abbia a che vedere con la paura profonda di risprofondare in certi baratri, con quella di non riuscire a farcela o di trovare ostacoli insormontabili sul cammino, ma non ha importanza. Perché per quanto forti possano essere le mie paure, tangibili le mie fragilità e precari i miei equilibri, la razionalità cosciente mi ricorda che non sono nemmeno così coglione da prendere una macchina per scalare un muro, il che è di notevole consolazione, ma soprattutto che la scalata non deve spaventare perché é alla fine delle salite più faticose e più impervie che si trova sempre una casa blu le cui pareti si confondono con il cielo.