Non credevo mi piacesse viaggiare.
Se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che avrei passato buona parte del mio tempo a spostarmi da un posto all’altro senza fermarmi più di due giorni nello stesso luogo avrei risposto che non faceva per me, che ho bisogno di casa, di abitudini, di sicurezze quotidiane. Sono vere entrambe le cose. Ogni periodo ha la sua priorità e le sue esigenze ma nessuna di esse svanisce, perde solo temporaneamente valore per riprenderlo in un altro momento. Ora la priorità è non fermarsi e stare piacevolmente in una realtà che non consente di mettere radici, fatta di tante facce, di tante foto e altrettanti istanti superficiali e fugaci, in modo da evitare quella ripetitività delle giornate che mi annoia.
Non è vero che mi annoia. Mi fa proprio paura.
C’è chi viaggia per trovare sé stesso e chi per perderlo, per alienarsi dalla realtà e mettere distanza tra passato e futuro per vivere in un presente sospeso privo di riferimenti, in cui già poco dopo la partenza lo spazio e il tempo non esistono più, in cui ogni giorno comincia con la domanda “oggi che cazzo di giorno è?” per poi trasformarsi nel pomeriggio in “ma ieri dove mi trovavo?“. La memoria a volte trova subito le risposte, altre volte invece l’agenda e la macchina fotografica sono un aiuto indispensabile per ricostruire frammenti scomposti, specialmente all’interno di questi stati da pseudodemenza, in cui anche la bellezza dei luoghi diviene evanescente perché non li si vive realmente ma li si vede solo scorrere come un paesaggio dal finestrino, in una sequenza così rapida che finisce per comporre una sorta di mnemonica Guernica in cui il Torrazzo svetta al centro della Piazza Rossa.
Poi c’è anche chi viaggia e basta. Un “prodotto congelato aviotrasportato” aveva detto qualcuno ad una conferenza.
E’ tutto bello. Ma è tutto anche troppo rapido per essere metabolizzato da una fame bulimica che fagocita avidamente ogni cosa senza saziarsi mai, senza concedersi un’ammirazione duratura ma continuando a chiedere sempre di più, schiava dei crampi allo stomaco. “Ancora, ancora! Voglio vedere, voglio vedere di più!” perché il tempo non basta e mi corre dietro senza sosta. Perché se mi fermo il tempo diventa eterno e sono costretto a pensare, a fare bilanci, a guardare un sentiero interrotto da una frana, a rompermi i coglioni nonostante tutte le cose che faccio. Come se non fossero mai abbastanza. Invece voglio sentirmi separato, alieno, lontano e senza appigli per non adagiarmi, per costringermi a non avere un terreno solido sotto i piedi, per rimanere in solitudine con quella patrie indissolubili quali sono lo spirito e il corpo, che ovunque ti porti dietro come un bagaglio qualunque, per trovare una scintilla e riscoprire i piaceri dati per scontati.
Quando mi ritrovo in un albergo in mezzo al nulla finisco per guardare un letto sfatto che vorrei vedere occupato da qualcuno che mi invita al tepore delle coperte per scaldare questo silenzio ingombrante. Sono sempre più nudo, in stanze sempre diverse ma che alla fine si assomigliano un po’ tutte, che non mi appartengono, con finestre che danno su paesaggi sempre diversi eppure così simili ed indistinguibili, insieme ad una valigia mai disfatta e alla mia libertà che ha la forma di una anonima e insignificante chiave d’albergo. Un istante di solitudine rara ma necessaria per non perdersi completamente nell’affanno delle corse ai luoghi straordinari, nelle memorie da raccontare e nell’esperienza, per ricordare che abbandonarsi al tutto è bello solo quando non si diventa completamente esuli dalla semplicità della vita.
bellissimo!
Grazie Borto, fa sempre piacere un tuo apprezzamento..
Viaggiare non mi dispiace. Ma ora sono in una dimensione opposta. Sono chiuso in questo benedetto bilocale da quasi un mese a lavorare ad un saggio che (forse) entro domani sarà finito. Sono uscito di casa sì e no cinque volte in tutto il mese. Mi perdo anche io certo, in mezzo ad un mare di carta…
Buon viaggio!
Alla fine anche quello è un viaggiare.. Per me questo è il periodo giusto per gli spostamenti. L’eremitaggio l’ho fatto per gli esami, per le due tesi e per qualche racconto. Prima o poi ritornerà anche quello..
Buon viaggio a te e al tuo saggio allora..
Più che un lungo viaggio, ciò che descrivi sembra una fuga.
In generale credo che la differenza tra viaggio e fuga sia fatta di sfumature molto labili. Hai ragione, ma lo vedo più come un perdersi fisicamente altrove perché nessuno fugge da se stesso. Oltre alla valigia ci sono sempre i due bagagli di spirito e corpo e quelli non li puoi lasciare da nessuna parte.
Nessuno può fuggire da se stesso, si… Mi hai fatto tornare in mente il monologo di Ivan Benassi su Radiofreccia
Te lo volevo citare.. 🙂 non è un capolavoro di film ma ho sempre adorato quando dice da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merxx! Mi è rimasta in testa quella frase..
Adoro quella frase anche io… M’è venuta subito in mente quando ho letto le tue parole.
Ho annuito dalla prima all’ultima parola, ti manderò la parcella per il mal di collo 😉
Molto spesso mi sento dire, nei miei viaggi “ma che triste viaggiare da sola!” ormai ci sono abituata, prima mi offendevo. Adesso rispondo direttamente “triste tu, che da solo non sai viaggiare.”
Speriamo solo non sia troppo salata allora! 🙂
In realtà viaggiare da soli è un’esperienza da fare se non ci sono vuoti da riempire..
Stranamente, invece, viaggio da sola quando devo riempire dei vuoti. Vedi, ognuno alla fine ha del viaggio una sua idea, una sua collocazione nel proprio mondo.. Buona giornata!
Anche.. intendevo se non si sente la necessità di riempire il vuoto di una persona ma in effetti vale comunque la tua risposta.. Buona giornata a te..
L’ha ribloggato su Café La Nuite ha commentato:
Il viaggio non può essere visto in una maniera soltanto..