Ryu Murakami, da non confondere con il più arcinoto Haruki Murakami, è scrittore regista noto negli anni ’90 per aver diretto il film Tokyo Decadence (conosciuto anche come Topaz) tratto dalla sua omonima raccolta di racconti uscita nel 1988 e tradotta in Italia per la prima volta nel 2004, più di dieci anni dopo l’uscita della pellicola, il che causerà qualche imprecisione dell’edizione cartacea per la pigrizia dei curatori .
Il libro
Tokyo Decadence è una raccolta di racconti ambientati nella capitale nipponica, tutti con protagoniste donne che in qualche modo si sono trovate ad avvicinarsi al mondo sadomaso, chi perché esercita il mestiere più antico del mondo e chi per via di fortuiti incontri, in una serie di istantanee che colgono una solitudine e una desolazione umana priva di vicinanze emotive.
La prima cosa da sapere è che il curatore (o chi per lui) dell’edizione è semplicemente un rincoglionito perché non ha nemmeno fatto lo sforzo di leggere il libro (o almeno quello di farselo raccontare dal traduttore) e si è limitato a copiare paro paro la trama del DVD del film per riportarla sulla copertina, supponendo che fossero la stessa cosa. Quindi non c’è da stupirsi se non si riesce a trovare la fantomatica protagonista “Ai” e se i nomi sono sempre diversi mano a mano che prosegue la lettura semplicemente perché lo scritto è costituito da diverse storie tutte indipendenti (che nel film saranno pure condensate in una persona sola ma non è proprio la stessa cosa).
Di per sé i racconti si leggono molto bene, piacevolmente scritti, scorrevoli e per nulla noiosi anche se a fasi alterne di qualità. Alcuni sono veramente toccanti e struggenti in una maniera tutto sommato distante dalla freddezza giapponese che ci si può aspettare solitamente, mentre altri non riescono ad essere sufficientemente significativi per risultare altrettanto tangibili. Il filo comune di tutti i racconti è il mondo sadomaso ma non si tratta assolutamente di racconti a sfondo erotico perché il solo fatto che ci sia qualcuno che scopa non significa che sia una lettura pornografica (o forse dopo quasi 20 anni gli standard si sono alzati considerando quello che passa anche solo in televisione) quanto piuttosto un pretesto per accentuare la situazione esistenziale di queste protagoniste completamente svuotate e ridotte a meri corpi senza vita a disposizione dei voleri altrui. Non sono le loro pratiche sessuali (o dei loro clienti) ad attirare l’attenzione, in quanto svolte spesso con distacco come azioni ripetitive (a volte coinvolgenti, a volte noiose) che annullano qualunque legame di intimità, quanto la disperata fame di amore e di calore che le muove fino ad aggrapparsi ad ogni speranza ed illusione. Non ci sono la complementarietà e il vissuto condiviso del rapporto ma solo umiliazione a senso unico che sgretola ogni forma di contatto e di vicinanza emotiva e scioglie l’umanità nella violenza.
Pulp, vagamente, e a volte risente di un punto di vista maschile che sconfina nel cliché della donna che non vuole ma sotto sotto invece vuole.
Il film
“Ai” (Miho Nikaido) è un’ingenua ragazza che lavora come prostituta sadomaso nella città di Tokyo e subisce umiliazioni di ogni genere da parte di uomini d’affari, grigi impiegati o artisti famosi. Avvilita e inconsapevole della propria dignità chiede consiglio ad una fattuchiera per ritrovare la strada della felicità e si aggrappa alla possibilità di trovare l’amore in un cliente che.. e da qui in poi è meglio guardare il film.
La trama condensa nella storia della sua protagonista buona parte dei racconti del libro ma con uno stile statico e glaciale fatto di inquadrature immobili e di una inamovibile mancanza di vicinanza emotiva e di coinvolgimento, in puro stile cinematografico asiatico, che si proietta nella freddezza dei palazzi squadrati di una Tokyo decadente giocata tra luci, trasparenze e oscurità. L’edizione italiana, 95 minuti circa, è stata alleggerita rispetto alla versione originale, 135 minuti, ma senza che inspiegabilmente l’epurazione abbia colpito scene di sesso particolarmente più scabrose di quelle che sono state mantenute quanto piuttosto una serie di personaggi secondari e di avvenimenti sul finale.
Un film clinico e asettico, decisamente inferiore al libro che sicuramente è stato realizzato dal regista secondo i voleri dello scrittore (visto che sono la stessa persona) ma anche inferiore alle aspettative e all’alone di “leggenda” (si, forse è una parola un po’ forte) che si era creato negli anni tra autorevoli recensioni e presenze tra gli inserti di riviste di cinema. La visione dei sentimenti è cristallizzata per essere resa innocua a dispetto di una esibizione di liquidi vari e situazioni grottesche al limite della meccanicità spogliate da ogni forma di sensualità ed erotismo (e questo a prescindere dai gusti). Forse ai tempi poteva essere fonte di stupore ed imbarazzo, ormai attualmente, se uno si mette a cercare bene e ha fantasia, si
può trovare sicuramente di peggio.
Deludente e tuttavia a volta disturbante, formale e tuttavia a volte azzardato. Tutto quello che ci si può aspettare da un film giapponese.
Giudizio in minuti di sonno: Svenimento dopo 20 minuti con successivi riavvolgimenti per riuscire a vedere tutto il film in una volta sola mediante una titanica impresa che ha richiesto 4 ore.
Come spesso accade, meglio il libro.
Credo di aver visto il film ma a tratti e senza molto interesse. Non mi attirava particolarmente ma era molto tempo fa, forse ora sarebbe diverso…
Sinceramente non mi ha fatto impazzire.. ma spesso litigo con i film asiatici. Alterano la mia percezione del tempo.
Dello stesso autore ti consiglio anche Tokyo Soup.
Grazie del consiglio..
Già che ci sono ti consiglio anche questo film: https://wwayne.wordpress.com/2015/01/30/inseguire-i-propri-sogni/. Grazie a te per la risposta! 🙂
Di solito rispondo sempre.. 😉
Questo ti fa onore; molti bloggers non seguono il tuo esempio, purtroppo. Buon fine settimana! 🙂
Buon fine settimana a te!