La risalita (Finale) – Racconto

(Terza Parte)

Cesare uscì dalla stalla e gli spari iniziarono a farsi sempre più vicini. Da lontano vide il gruppo di ribelli che correva scomposto nella direzione del paese girandosi alle proprie spalle ed esplodendo proiettili verso un nemico invisibile.
Erano rimasti in sette, ansimanti, sudati e spaventati con la morte negli occhi. Il ragazzo che si strofinava il naso era ancora con loro e continuava a strofinarsi il naso imperterrito nonostante il momento concitato. Era un tic nervoso e in quel momento c’era molto da essere nervosi. Incontrarono Cesare in mezzo alla strada e uno di loro lo prese per un braccio strattonandolo fino verso alla casa gridandogli di mettersi al riparo che stavano arrivando i militari.
Si barricarono in casa rapidamente e si sistemarono alle finestre. Cesare, Giovanna e Rita erano a terra seduti, dietro il tavolo rovesciato e il divano ribaltato.
I militari arrivarono con un ampio dispiegamento di forze, camionette, mezzi corazzati e persino un carro armato. Di fronte alla loro avanzata si parò un uomo solo in abiti ridicoli uscire dalla stalla ma nessuno gli sparò, anzi, l’ufficiale di comando gli si precipitò incontro e lo portò via in fretta e furia scortandolo lontano dalla zona di scontro.
Dalla finestra i sette stavano osservando gli sviluppi in attesa di organizzare una strenua difesa quando uno di di loro gridò
<< Ma quello è Valpreda! >>
Tutti si alzarono in piedi per guardare chiedendo maggiori informazioni
<< Quello con i vestiti larghi! E’ Valpreda! Anche senza la barba lunga e senza uniforme lo riconosco! E’ lui! Sparate! Sparate! >>
E dalle finestre arrivò una pioggia di piombo rivolta al Generalissimo senza che nessun colpo andasse a segno perché ormai si trovava lontano dalle linee di tiro.
<< Maledizione! Lo avevamo sotto il naso e ce lo siamo fatti sfuggire! Cosa diavolo ci faceva qui? >>
E si lanciò su Cesare prendendolo per il collo e gridando
<< Stupido! Nascondevate Valpreda e non ci avete detto nulla??!! >>
ma Cesare divenuto improvvisamente un bambolotto assente seppe solo dire
<< .. non lo sapevamo, non lo abbiamo riconosciuto.. >>
poi lo lasciò a terra e diede un calcio ad un mobile per la frustrazione.
Guardò tutti i suoi compagni, chiamò il ragazzo che si strofinava il naso e gli disse
<< Non abbiamo tempo da perdere. La fanteria non si è ancora sistemata quindi tra poco saremo circondati e nessuno potrà scappare. Devi uscire dal retro e andare al comando generale ad avvertire che sul convoglio che avevamo attaccato c’era Valpreda e che adesso è qui. Muoviti che possiamo solo ritardare la loro avanzata! >>
Giovanna aveva sentito tutta la conversazione e fu presa dal panico. Intimò a Rita di non piangere e di rimanere rigorosamente in silenzio fino a che non si sarebbe sentita al sicuro, poi la sollevò e la mise tra le braccia del ragazzo implorandolo di portarla con lei. Il giovane non fu in grado di obiettare, troppo preso dalla tensione del momento che ormai lo stava portando scavarsi il naso con le dita. Giovanna lo prese per un braccio e lo condusse fino alla finestra posteriore da cui poteva calarsi e gli fece vedere da dove passare senza essere visto.
Lo vide caricare su di sé la bambina e sparire nella boscaglia correndo a perdifiato.
Nel frattempo lo scontro a fuoco ricominciò con una violenza inarrestabile. La resistenza che riuscirono ad opporre fu stroncata in breve tempo. Uno dopo l’altro i ribelli caddero sotto i colpi del nemico fino a quando i superstiti non decisero di arrendersi ed uscire allo scoperto con le mani alzate.
Vennero messi in riga di fronte alla stalla e fucilati immediatamente.
Dentro la casa Giovanna e Cesare erano rimasti rannicchiati nascosti dietro al tavolo e al divano. Sentirono le voci dei soldati avvicinarsi e i passi pesanti incombere sull’uscio poco prima di essere trascinati all’aperto. Vennero messi in riga di fronte alla casa ed un plotone si posizionò di fronte a loro. Non molto lontano Cesare vide Valpreda discutere con un ufficiale e gli gridò con tutta la rabbia che aveva in corpo per ricevere la motivazione del loro destino da quel mostro che aveva salvato.
I loro sguardi si incrociarono e il contadino vide il volto della morte in quei due occhi, ora scuri come la notte più buia della storia dell’uomo. Vide il Generalissimo impettito e tronfio nuovamente avvolto nel lustro della sua altissima divisa da comandante supremo, inviolabile, intoccabile, senza macchia e senza errori come lo dipingeva la propaganda governativa.
E capì.
Un giovane soldato della fanteria stava perquisendo la casa di Adele mentre fuori una serie di colpi di fucile rimbombarono nella stanza infrangendo il silenzio. Apriva porte in cerca di altre persone, sperando di non trovare nessuno per non affrontare la situazione di dover scegliere tra obbedire ad un ordine insensato o l’insubordinazione e lasciare andare un innocente. Si era arruolato per la convinzione della necessità di ristabilire un nuovo assetto in quel paese rovinato dal caos e dalla confusione e aveva trovato questo baluardo nel Generalissimo. Ma non impiegò molto tempo prima di capire che la guerra era solo il marcio dell’anima in cui la vera impresa era riuscire a conservare un briciolo di umanità per non diventare aguzzini e macellai, per non morire dentro insieme ai colpi esplosi. Insieme a lui c’era un altro soldato. Gli altri due erano andati al piano superiore. Quando vide il corpo riverso di una ragazza abbassò la sua arma e si avvicinò per poterla vedere. La girò e scoprì che con il corpo aveva protetto una piccolissima bambina che si guardava in giro sgambettando smarrita. La ragazza aveva un viso bellissimo. Sembrava che stesse dormendo. Il giovane pensò che forse era stata la sua fortuna, se fosse finita tra le mani di alcuni suoi commilitoni avrebbe dovuto soffrire anche umiliazioni e dolori indicibili prima di morire. Guardò il volto insanguinato dello splendore e sentì gli occhi diventare umidi. Ripensò a quando aveva assistito al matrimonio di un amico prima dello scoppio della guerra e all’amore che vide nei suoi occhi mentre aspettava la sposa sul sagrato della chiesa, circondato da parenti e amici. Agitato si muoveva avanti e indietro mentre l’attesa gli stritolava lo stomaco. Quando lei arrivò il suo sguardo sorrideva quanto la sua bocca mentre luminoso le porgeva il bouquet nuziale. In testa riecheggiarono le parole “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” e in quel momento la vita gli sembrò troppo corta per amare sufficientemente una persona.
Recuperò una coperta e vi avvolse la bimba. La prese in braccio ed uscì dalla casa portandola lontana da quell’orrore, lasciando alle proprie spalle la casa insanguinata e le cause perse di un’umanità in cancrena.
Quando i rivoluzionari arrivarono al paese accompagnati dal giovane con in braccio Rita era ormai tardi.
I soldati erano andati via lasciando solo macerie e cadaveri.
Solo la mucca che avevano cercato di portare via pascolava tranquilla nei prati poco distanti dal paesino.

Secondo me....

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