Contava i giorni perdendo di vista le ore, i minuti, i secondi.
Chiuso in una impersonale casa di mattoni e cemento, in cui il freddo avvolgeva le ombre nascoste agli angoli bui delle stanze, il mostro non usciva mai.
Rinchiuso nel suo isolamento non provava nemmeno ad annusare quei coloratissimi fiori rigogliosi che crescevano spontanei nel suo giardino, le cui essenze bussavano alla sua porta ogni mattina dipanandosi nell’aria tra le luci della rugiada e i raggi del primo sole. Una forza persistente ed invisibile lo teneva incatenato a quelle stanze ingombre, pesanti, sempre più polverose dove il macigno ignobile della quotidianità autistica stringeva le mani attorno al suo collo. Si sentiva soffocare. Non respirava mentre scivolava ansioso da una stanza all’altra. Il suo labirinto era fatto di percorsi immutabili e di rapidi sguardi oltre le tendine scure della finestra che dava a nord, sul campo da calcio dei ragazzi del quartiere. Anche lui aveva giocato a pallone con i suoi coetanei tirando forte contro quei pali bianchi ormai divorati dalla ruggine.
Poi era diventato un mostro.
Al buio accese la televisione che iniziò a colare sopra i suoi occhi la violenza del mondo con le immagini terribili del telegiornale. La bellissima giornalista a mezzo busto ripeteva le notizie del gobbo avvolta in una maschera di finta compassione mentre il seno quasi le esplodeva dentro al vestito blu. Ipnotizzato il mostro rimaneva incollato allo schermo come il bambino che era stato. La bocca aperta per lo stupore vitreo di una mente immobilizzata. Affondò nella comodità del suo divano con la tensione di chi si attende un agguato da qualche creatura nascosta nei meandri di quei cuscini. Impugnò il telecomando per cambiare canale.
Solo telegiornali.
Si alzò e accese il computer. Il mondo si offriva con l’aspetto suadente della pornografia, in cui il mostro incontrava tutte quelle donne dalle forme morbide di cui desiderava possedere il corpo in un amplesso sudato e senza inibizioni. Il mondo era una puttana che gli mostrava le gambe, che urlava, che ansimava ammiccante tra due uomini ma non gli carezzava la testa quando sentiva quel dolore sordo che, con il ritmo ticchettante del metronomo, affondava le unghie nel suo cuore.
Il cellulare iniziò a suonare illuminandosi di giallo. Una melodia tersa e cristallina si diffuse per tutta la stanza oscura mentre il mostro andava verso quella luce. Rispose ed alle sue orecchie arrivarono tantissime parole, un fiume in piena che lo travolse inchiodandolo alla croce della sua lingua muta, mentre tutte quelle informazioni che affollavano i suoi sensi lo confondevano e andavano a colmare la sua testa lasciando la sua mente spaesata e disabilitata.
Esiliato dall’esistenza, nella confusione del momento che lo trascinava in una bizzarra bufera senz’aria, il mostro ebbe un solo, fugace, momento di lucidità isolando i suoi pensieri dalle voci che gli urlavano nella testa.
Si vide al buio mentre degli schermi luminosi brillavano nella stanza come dei piccoli fari e si irrigidì cadendo in uno stato catatonico di immobilità assoluta.
In piedi in mezzo alla stanza il silenzio irreale della mente era isolato dai rumori di televisione, computer e cellulare.
Sarebbe rimasto in quella posizione fino a morire di fame se un caso fortuito non lo avesse risvegliato violentemente dalla suo coma due giorni dopo. Un banale corto circuito del vecchissimo impianto fece divampare un violento incendio nella casa. L’aria irrespirabile, il fumo ed il calore lo riportarono nella stanza dove tutto era mangiato dalle fiamme. Il mostro pensò che il suo destino fosse quello di rimanere in quella stanza e sparire insieme alla casa. Ma quando il fuoco avvolse il suo braccio sinistro e il dolore gli separò la testa come una lama tagliante, non esitò a correre gridando verso il bagno. Mise il braccio dentro al cesso e subito tirò la catena per spegnere le fiamme.
Non poteva più stare in quella casa e vide l’unica via d’uscita nel gettarsi dalla finestra prima di rimanere intrappolato.
Cadde sul prato senza farsi nulla e rimase di fronte allo spettacolo della sua casa che bruciava fino alle fondamenta, contorcendosi negli ultimi spasmi di rabbiosa resistenza.
Non rimase niente, solo un cumulo di macerie fumanti annerite dall’incendio.
Si toccò il braccio sinistro e scoprì che non faceva male, per quanto apparisse grinzoso e necrotico.
Un piccolo riquadro luminoso, unico oggetto incolume, attirò l’attenzione del mostro che lo raccolse e lo portò di fronte a sé.
Un piccolo specchio rotondo di quelli che aveva fatto togliere per non vedere più la propria immagine.
Si guardò.
Non era un mostro.
Aveva recitato in un teatro di invalidi e di figure mozze.
Complimenti, molto ben scritto.
Ti ringrazio.