Malkiel è un uomo di origini ebraiche che lavora al New York Times ed è assorto nell’esitazione di convolare a nozze con Tamar, una collega giornalista. La sua vita viene però sconvolta quando apprende che il padre, Elhanan, è affetto da una malattia degenerativa che lo porterà a dimenticare tutta la sua vita, i trascorsi e le persone importanti. Prima di perdere completamente ogni ricordo chiede a Malkiel di lasciare New York e andare nel paesino di Fehérfalu, in Ungheria, a seguire le orme del passato, durante le deportazioni della Seconda Guerra Mondiale e le vicende del nonno, decano della comunità ebraica, allo scopo di..
Scritto in maniera eccellente e coinvolgente, narra le vicende di tre generazioni a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, passando per la storia della Palestina e di Israele e giungendo ai giorni nostri, tramite continui salti temporali e inversioni di punti di vista dei protagonisti di questa storia: Malkiel nonno, Elhanan padre e Malkiel figlio. Tre generazioni segnate da lutti famigliari, dalla tragedia della guerra e dei rastrellamenti. La sofferenza è palpabile in ogni singola pagina, in cui traspare anche un’incolmabile malinconia esistenziale accumulata dalle eredità del genitore precedente e da una difficoltà di fondo a trovare un senso alla vita (“Sono qui per ricordarmi di ciò che mio padre ha dimenticato. Ma sono in vita soltanto per ricordare? E se la vita non fosse che l’immaginazione degli avi o il sogno dei morti? Appoggiandosi alla tomba del nonno che portava il suo nome, egli si sentì invadere da un’angoscia oscura, quasi animale, un fiume nero minaccioso, foriero di sventura. Oltre gli alberi, scorse i tetti grigiorossi del municipio e del liceo. Oltre le sepolture, contemplò il carminio del giorno che declinava e udì il lamento del crepuscolo che scendeva. Vivere, pensò con spavento. Questo si chiama vivere.“) di fronte ad una realtà terribilmente piena di contraddizioni in cui non esistono ruoli definiti. L’umanità di fronte alla sofferenza si perde, si corrompe, si snatura e rimane solo la necessità di ricordare. Ricordare per non perdere la propria identità in quanto persona, per non perdere la memoria storica ma anche per non dimenticare un gesto che possa far credere “che non tutti gli uomini siani malvagi” in cui, forse, è racchiusa tutta l’essenza della vita di un uomo, la sua bontà, la sua vigliaccheria e i suoi rimpianti: la più esile speranza della sua salvezza. L’oblio non è tuttavia esclusivamente una dannazione: può essere distruzione e destrutturazione ma per altri può assumere la fisionomia di una virtù salvifica per poter cancellare un passato ingombrante e ridare nuova luce ad una vita stritolata dall’ingiustizia perché, alla fine, “come si può resistere se ci si ricorda di tutto?“
Ciao.
Ho chiuso Capitolo 11.
Grazie per aver fatto qualche passo di questo lungo cammino con me.
Donatella
Ciao Dona,
Significa che non pubblichi più o hai ricominciato con un nuovo indirizzo?
Per ora ho chiuso. Non so se riccomincerò. Se così sarà i miei blogger preferiti,tra i quali ci sei tu, saranno avvisati.
Mi spiace..
A presto allora..
stesso capitolo nuovo capitolo 🙂
http://capitoloundiciladona.wordpress.com/
Bentornata.. 🙂
Grazie!