Fare il genitore è una realtà molto difficile.
Non so cosa significhi esserlo in prima persona ma già da ora mi preoccupa e mi spaventa come solo un’impresa ardua e piena di responsabilità potrebbe fare. Una volta parlando con uno zio di religione mi disse che dio (volutamente minuscolo) dovrebbe essere come un genitore, una figura che cerca di darti alcune regole (indicazioni, consigli, suggerimenti, ognuno si scelga la sfumatura che preferisce) fino a creare una base solida ma il cui ruolo più importante è poi quello di “lasciare andare i propri figli“, perché è necessario che trovino la propria emancipazione. Metaforicamente, i figli dovrebbero interiorizzare i propri genitori e ad una certa età tenere solo alcuni insegnamenti, cancellare il resto che rimane di loro e poi ucciderli al proprio interno per trovare il proprio “Io” seppellito tra le aspettative, le richieste e le pressioni. Non per ingratitudine, non per mancanza di amore nei loro confronti, ma per amore di sé stessi. Quando si è piccoli il padre e la madre sono perfetti, i dispensatori della verità, fino a quando non ci rende conto che anche loro sbagliano e che quello che dicono non è sempre necessariamente vero. Arriva un momento in cui non possono più decidere per i figli. I genitori ti donano la vita ma spesso vogliono tenersi un po’ di quella vita che ti hanno dato. L’indipendenza non si ottiene solo andandosene di casa, bisogna riconoscere i propri pensieri, accettare il buono e rifiutare quello che non fa per noi tra quello che ci è stato trasmesso. Per quanto si vada lontano le influenze rimangono sempre con noi in forme viscerali e subdole. Il figlio deve affrontare la responsabilità di poter deludere le aspettative degli altri ma mai e poi mai deve rinunciare alle proprie. E’ meglio odiare sé stessi per aver preso una scelta sbagliata che qualcun alto perché ci ha imposto una sua scelta pensando che fosse giusta per noi.
Mi turbano i genitori 2.0.
Troppo concentrati a giocare con il cellulare per ascoltare e troppo convinti che i bambini siano piccoli (o dei piccoli idioti) per capire e per dargli spazio in una conversazione tra adulti. Si fa più caso all’eloquio forbito dietro cui si cela spesso un’inutile superficialità che ai contenuti profondi nascosti dietro ad un linguaggio semplice ed ingenuo (Per lavoro mi sono ritrovato a seguire alcuni spettacoli teatrali dedicati all’infanzia e posso garantire che genitori e maestre non riescono a capire i significati e i messaggi celati dietro i gesti delle rappresentazioni che, invece, sono chiarissimi ai bambini). Mi preoccupa vedere come esibiscano le vite dei propri figli con centinaia di foto su Facebook a documentare ogni loro singolo movimento, ogni sorriso, ogni caccona ma anche ogni momento imbarazzante o di derisione. Diventano l’oggetto del becero narcisismo genitoriale senza che questi si pongano il dubbio di quale sia la preferenza di quell’essere che sgambetta davanti a loro, anche se ormai ha cinquant’anni e fa il medico, che probabilmente non vorrebbe essere fotografato ogni trenta secondi ma solo avere una relazione con loro, intima e privata. I bambini, loro malgrado, non hanno più nessuna privacy. Prima i momenti imbarazzanti erano relegati ai racconti e alle foto che giravano in famiglia. Era tutto tra persone che condividevano un legame affettivo che comunque ti avrebbero massacrato i coglioni fino all’età adulta, e oltre, per una qualunque stupidata. Ora invece i momenti imbarazzanti di questi bambini sono sulla homepage dei 600 amici di Facebook in cui ogni singola “umiliazione” o fatto privato viene condiviso con tutti. Un tempo alcune madri andavano a leggere di nascosto i diari dei figli, adesso lo mettono direttamente su Facebook. Fatevi una vostra vita e lasciateli in pace, saranno loro a decidere quando vorranno rendere pubblici i loro pensieri oppure non stupitevi se prima o poi inizieranno a svelare le vostre esperienze imbarazzanti quando sarete vecchi, quando avrete il pannolone e sbaverete per mangiare o quando i tatuaggi di cui andate così fieri diventeranno delle macchie informi sulla vostra pelle rugosa (questa mi toccherà, lo so) e loro se ne lamenteranno sui nuovi social, che nel 2050 sostituiranno i telegiornali. Sfottuti in diretta nazionale. Forse in quel momento capirete come si sentivano. Si ride sempre in due quando si scherza. Più di tutto credo che l’unica persona a cui possa interessare se siete o meno dei bravi genitori e a cui siete tenuti a dimostrarlo sia esclusivamente vostro figlio.
Lasciare andare il controllo e riconoscere un’indipendenza deve essere poi difficilissimo.
Si passa una vita a fare tutto per un’altra vita che cresce e poi ci si trova a dover accettare che ci possa lasciare. Eppure non farlo servirebbe solo a vanificare ogni sacrificio precedente, a tenere con noi una specie di giullare, un’ameba o un sottoposto schiacciato da un’autorità pesante e ingombrante. Sento storie agghiaccianti di rapporti genitori e figli, sento grida di frustrazione in un gioco malato in cui si vuole schiacciare l’altro e colpevolizzarlo con mezzucci e manipolazioni, come se la ragione si riducesse ad una questione di decibel, coinvolgendo più persone possibile aldifuori di un rapporto che dovrebbe essere esclusivo e biunivoco. Il dolore alberga tanto nelle urla quanto nei silenzi impotenti. Più si sente di perdere il controllo e più le parole diventano forti ad inasprire un conflitto in cui tutti si credono dalla parte della ragione. Sono tutti piccoli abusi che pesano come macigni e che rendono faticosa la conduzione di una vita più o meno sana. Se alcune “piccole” (relativamente) frustrazioni rischiano di essere dannose negli anni a venire, mi stupisco sempre come alcune persone riescano ad avere una vita normale dopo violenze indicibili. “Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior” ed è vero, ma è anche vero che non sempre succede e che, più probabilmente, si finisce per perpetrare una violenza o un comportamento subito.
E in tutto questo mi viene paura.
Tutti i genitori fanno errori, chi più chi meno, è inevitabile. Mi chiedo cosa sbaglierò, se sarò in grado di essere presente, di insegnargli ad usare la sua testa e ad affrontare le situazioni al meglio senza trasmettergli i miei sbagli, le mie frustrazioni, i miei fallimenti e le mie ansie, senza rischiare che diventino anche le sue. Se riuscirò a dargli delle regole senza umiliarlo, se saprò essera autorevole e non autoritario. Ma più di tutto, se riuscirò a farmi da parte quando sarà il momento e saprò riconoscegli le capacità e i meriti senza soffermarmi sulle delusioni. Se saprò accontentarmi della sua felicità senza imporgli la mia. “Un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno” dice Dostoevskij eppure forse, sbagliando, siamo da sempre portarti a pensare il contrario.
Da piccolo avrei desiderato avere dei superpoteri, ora penso che non ci sia nulla di eccezionale nell’essere Spiderman o similari perché già solo riuscire a diventare un buon essere umano in generale, e in questo caso un buon genitore, è veramente un’impresa eroica.
Jeremy sei un grande, come sempre. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Un post fatto bene, equilibrato, con ottimi spunti di riflessione.
Mi piacerebbe riuscire a trovare il titolo del giornale su cui avevo letto un articolo similare… so che era un numero vecchio de L’Internazionale. Sfortunatamente non mi ricordo quale numero… Il tema era praticamente lo stesso ed espresso molto bene.
Sempre gentile Zeus, grazie.
Se ti capita di trovarlo mandami un link o qualche riferimento perché, pur leggendo ogni tanto Internazionale, mi è sfuggito ma lo leggerei molto volentieri.. Non è una novità, con i social credo si rasenti la follia e si finisca per tirare fuori il peggio di sé..
Non mi ricordo proprio sai… se mi viene in mente te lo spedisco volentieri.
Il fatto è che non parlava di social in sé, parlava del rapporto fra genitori e figli, del ruolo che hanno. Ma soprattutto analizzava l’equilibrio fra le due condizioni (chi era figlio, il genitore, e chi è figlio) e del punire il bambino/a.
L’unica pecca del post é una dimenticanza: la caccona dei bambini è SANTA. 😛
Mannaggia che errore.. però l’olezzo molto meno.. 😉
Nutrirò gli eventuali figli con fiori ed olii essenziali! Sai mai.. 😉
che bel post! complimenti! il solo fatto che tu ti ponga tante domande precise, mi fa pensare che (malgrado gli inevitabili sbagli che tutti i genitori fanno), starai molto attento e, nel caso, saprai rimediare e chiedere scusa. mi soffermo sul “becero narcisismo” che purtroppo è più che mai attuale e dilagante. la nostra società ormai si basa sul modello narcisistico non più su quello edipico (caratterizzato anche dal rispetto dell’adulto e della regola) e questo è un problema: tutto si basa sull’immagine, sull’apparire e sull’io, io, io e ancora io; se questo cambiamento fosse minimo sarebbe positivo, ma è esponenziale (grazie anche al progresso tecnologico) e conduce ad un individualismo dirompente con relazioni anche di coppia sempre più difficili e famiglie sempre più problematiche, i cui figli crescono avendo sempre ragione, centrati solo su sè stessi, sui bisogni individuali, sull’apparire anziché essere. genitori, insegnanti, allenatori, … dovrebbero dedicare particolare attenzione a quest’aspetto secondo me.
Ludmilla
Me lo auguro sinceramente, pur nella consapevolezza che nel cercare di fare la cosa giusta, inevitabilmente cadrò negli errori.
Non ho nulla da aggiungere alla tua analisi che è perfettamente centrata e condivido totalmente, hai ragione. Personalmente mi lascia perplesso il desiderio di apparire e condividere di continuo una sfera personale che dovrebbe essere privata e meno esposta per il solo motivo di tutelare il bambino o per una atavica forma di “pudore” che mi pare non esista più. I figli che crescono concentrati su sé stessi non sono altro che la conseguenza di genitori concetrati su sé stessi, in cui qualunque fatto contraddittorio all’immagine costruita non è altro che una ferita narcisistica.
L’apparenza è tutto di questi tempi, a discapito dei contenuti che sono sempre più poveri.
Bellissimo post. Io ne ho ancora un bel po’ (spero) prima di diventare madre. Ma mi è capitato di pensarci, soprattutto osservando i genitori di alcuni amici, che non perdono occasione per umiliare i figli, per dire “sei grasso, sei stupido, non sai far niente”, o che, per contro, innalzano i figli a creature meravigliose. Condivido il tuo disgusto per i genitori 2.0. Condivido le tue paure di produrre grandissime (concedimelo) teste di *** o grandissimi sociopatici. Spero un giorno di essere come mamma e papà, che non posso definire degli amici nel vero senso della parola, ma che hanno sempre trattato me e mia sorella come persone al loro pari. Sì, ecco, credo il segreto sia solo questo (oltre ad amarli, ovviamente).
Di questo passo anche io. Bravissima, sono due cose che detesto. Credo che nella vita servano le frustrazioni e le difficoltà per imparare ad affrontare le avversità, ma le umiliazioni pubbliche di un genitore sono terrificanti come d’altra parte le idealizzazioni sono irritanti allo stesso modo perché rivolte spesso a degli ingrati (mi viene in mente “Papà Goriot”) e solitamente a discapito di un fratello/sorella che viene sempre denigrato.
Il fatto di avere avuto dei modelli sani e positivi ti faciliterà nel riproporre lo stesso modello ai tuoi figli che non saranno delle teste di cazzo (te lo concedo ma potevi dirlo liberamente.. 😉 ).
Non so quale sia il segreto per me, spero solo che possano essere felici e di essere in grado di insegnare loro ad usare la propria testa.
Se gli insegnerai a pensare come fai tu, non potranno crescere male 🙂
Sei gentile, ma credo che per loro sia meglio pensare come riterranno più giusto e, spero, sempre con intelligenza ed umanità. 🙂
Anche perché arriverà pure per me il momento in cui crederò di sapere cosa è meglio per loro, temo.. ma speriamo di no.. 😉
Credere di sapere cosa sia meglio per gli altri è normale, capita con molte delle persone a cui si vuol bene. Ma è importante anche la libertà: se darai loro gli strumenti per essere intelligenti ed umani, lo saranno. Nessun bambino nasce con preconcetti e cattiveria.
Nessuno insegna ai genitori come fare i genitori. Dunque alcuni genitori distruggono i figli. Quelli 2.0 sono forse i più distruttivi rispetto agli altri. Più affezionati e attenti ai loro amici virtuali che ai loro pargoli reali. Dipendenti loro da una vita virtuale cosa comunicano ai figli? Di sicuro non un sano amore. Li lasciano liberi di fare qualsiasi cosa perchè sono troppo occupati a chattare con la/il loro amante online e poi si stupiscono se i loro piccoli amorucci stuprano e molestano. Madri che guardano più le proprie lunghe e decoratissime unghie che gli occhi supplichevoli delle loro figlie. La famiglia 2.0 è un contenitore di tutto tranne che di amore. Spero che se tu un giorno sarai padre non appenderai il tuo cell con la soneria accesa nella culla per farlo addormentare.
Credevo avessi chiuso il blog Amleta, bentornata. Hai fatto un ritratto desolante e assolutamente veritiero della realtà. Le assenze emotive dei genitori si pagano a carissimo prezzo in questo caso sembrano talmente futili da risultare imbarazzanti. Eppure se ne sentono di persone che giocano con il cellulare piuttosto che con i figli.
Per sdrammatizzare potrei dire “dipende dalla suoneria” ma mi auguro di non arrivare mai ad un punto del genere e diciamo che sono piuttosto sicuro di poter escludere quell’eventualità.
Ciao, sì, ho chiuso il mio secondo blog, quello sadomaso, ma il mio blog principale è ancora apertissimo. Io un figlio ce l’ho già ed è stata dura lottare contro le influenze dei compagni a scuola , tutti webdipendenti, e in parte ho perso purtroppo. Ma un figlio deve anche avere la libertà di vivere come meglio crede. Del resto io sono di un’altra generazione ormai e quindi alcune cose non le concepisco, per loro invece ciò che per me è strano è normalissimo. ma se dovessi fare un altro figlio lo crescerei su un’isola deserta, lontanissimo da tutto quello che oggi distrugge genitori e figli.
Hai ragione, bisogna avere la libertà di vivere come meglio si crede..
Sarebbe da fare ma forse la soluzione migliore è riuscire ad usare le tecnologie come qualcosa che facilita la vita tenendola a giusta distanza e senza farsi monopolizzare..
Mi hai fatto venire in mente il DISAGIO di una volta, quando facevo la bagnina, che ho recuperato un pargolo che stava rotolando pericolosamente nella risacca durante una giornata di maestrale. E ci ho messo settecentomila ore a trovarne la genitrice, che era ubicata al bar, intenta a giocare a non so che browser-game per teenager alla moda. E’ vero che io mi sono presentata a lei somigliante al mostro delle fognature con suo figlio in braccio coperto di sabbia, e sono cose che sgomentano… ma mi sono molto inquietata quando si è incazzata con me, rispondendomi “Beh, te che dici, me lo saprò guardare pure da sola mio figlio, eh?”. Io spero che lo spavento le abbia fatto bene, ma ne dubito un po’. Mi ha dato l’impressione che si sia impermalita perché si è sentita accusata prima ancora che io le dicessi niente… un sacco di genitori 2.0 si trova nella situazione di avere una fila di dipendenze lunga come un treno e di non essere assolutamente in grado di tirarsene fuori, neanche per il benessere della prole. Di buono c’è che non è necessariamente un determinismo elementare e matematico che stabilisce quanto lontana cadrà la mela dall’albero… anche da genitori un po’ così (per dirla con gentilezza) può uscire il miracolo!
Credo che in quel caso avresti dovuto rispondere “evidentemente, no” con tutta la cortesia del mondo ma non so se al tuo posto ci sarei riuscito.. Beh, è ovvio, in fin dei conti si sarà ben resa conto di essere in torto (mi auguro!!!)..
Mi piace molto il modo in cui hai messo giù la metafora dell’albero. Nella realtà sono convinto che i figli non siano troppo diversi, nell’intimo covo la speranza che dalla merda nascano i fiori (per dirlo brutalmente) ma dicendo “non è necessariamente un determinismo elementare e matematico che stabilisce quanto lontana cadrà la mela dall’albero” sei riuscita ad unire i pensieri con un ponte.. E hai ragione.
C’è questo mio amico chimico farmaceutico che mi dice sempre che il DNA suggerisce ma non determina, e mi aiuta quando mi deprimo pensando di non avere la possibilità di scegliere cosa essere xD *weird friends* Io di DNA non capisco un’emerita seppia e probabilmente è esagerato trasformarlo in una metafora della crescita caratteriale… ma lo prendo come un motivational mantra su questa faccenda. Diciamo che quel figliolo di cui sopra parte svantaggiato, ma in nome dell’ottimismo diremo che ce la può farcela! Ah e… no, non ce l’ho fatta a rispondere niente alla tipa. Ovviamente dopo mi sono venute in mente tremila frasi very cool che avrei potuto dirle per essere un personaggio dei very cool movies, ma lì per lì di tutto ciò sono riuscita a pronunciare un unico “MAH” DDD:
Sono sostanzialmente d’accordo con il tuo amico.. Si, diciamo che è sicuramente una delle tante determinanti che influiscono sulla crescita delle persone.. DNA o non DNA, penso che non esistano predestinati e che buona parte di quello che siamo ce lo costruiamo tra predisposipozioni ma più che altro impegno.. 🙂
Beh, anche il “mah” ha il suo effetto! 😉
Anche io come nn potrei condividere il plauso al tuo scritto? Tuttavia ovvero ‘ma’ (mi è parso di scorgere un tuo posto sul ‘ma’) quando tutto è detto, tracciate pochissime linee guida essere genitori è come per un attore recitare a soggetto. Noi genitori portiamo la nostra personalità che solo per amore dei figli in qualche modo riuscimo a smussare ma i figli stessi nascono con delle loro predisposizioni per cui nessuna ‘regola’ messa in atto in un caso si adatta univocamente a tutti.
Essere genitori comporta una forte dose di ‘interpretazione’ e di preveggenza. In qualche modo bisognerebbe essere guida silenziosa un lampadiere che mostra loro il cammino.
vorrei dire altro ma molto è stato detto.
sherazadechepuòdirsibuonamadreenonmammachioccia
Certo, si tratta di un incontro tra diverse personalità di cui alcune già formate ed un’altra (altre) in via di sviluppo. Non so quanto i genitori smussino il proprio modo di essere fino in fondo. Non credo che sia una questione di formalità esterna quanto piuttosto di un reale cambiamento interiore. Non basta dire “approvo quello che fai” se poi ci sono sottili segnali che contrastano con quanto si è detto. Essere genitori non è facile e non ci sono regole perché sicuramente in un modo o nell’altro (con tutte le buone intenzioni del mondo) qualche danno si finisce per farlo, sempre e comunque. Ma a quel punto sta al figlio rielaborare l’esperienza e trasformarla in qualcosa di “positivo”.
Non saprei perché per me è una questione lontana ancora, però mi auguro solo di riuscire a dare degli strumenti, poi starà a loro illuminarsi la strada da soli.
Xfetto:-)
Shera
🙂