John McClane (Bruce Willis) parte per Mosca con l’intento di salvare lo sbandato figlio Jack (Jai Courtney), detenuto in una prigione, per scoprire che 1) il ragazzo non è per nulla sbandato ma è invece una spia incaricata di salvare il dissidente Yuri (Sebastian Koch) il quale è in possesso di importanti informazioni politiche; 2) in Russia se cerchi di fermare una macchina mettendoti in mezzo alla strada come si fa in tutti i film d’azione americani, come minimo ti mettono sotto. Da qui in poi è
meglio guardare il film ma non è che ci sia molto altro da dire (esplosioni a parte) e ho fatto riferimento solo ai primi 5 minuti.
Qualche giorno fa ho riguardato “Die Hard Duri a morire” e ho ripensato a quanto mi fossi divertito al cinema, galvanizzato da uno dei più bei film d’azione degli anni ’90. La trilogia di John McClane, personaggio ironico e sporco, al limite dello sbandato, è una pietra miliare nell’ondata di polizieschi che avevano invaso le sale in quel periodo. No, non ho sbagliato a dire “trilogia” perché i due seguiti non li voglio considerare. Già la parabola era discendente con “Vivere o morire” (per quanto permanesse qualche rimasuglio di frasi degne di nota:” – Hai abbattuto un elicottero con una macchina! – Avevo finito le pallottole…“) ma quando mi sono ritrovato “Un buon giorno per morire” non pensavo che dopo lo schianto a terra qualcuno potesse decidere volontariamente di scavare per andare ancora più a fondo (non è vero, è cosa ormai fin troppo comune). Proprio non riesco a capire perché insistano a resuscitare personaggi gloriosi per farli coprire di ridicolo. Come Indiana Jones, che ne “Il regno del teschio di cristallo” viene ridotto ad una specie di Adam Kadmon e la cui unica recensione sensata è stata fatta da South Park, basta sapere che si vedono George Lucas e Steve Spielberg violentare il caro archeologo. Tornando al caro McClane l’impressione è che Bruce Willis si sia appiattito più di quanto già non fosse e abbia trasformato il personaggio in una specie di barattolo imbolsito affetto da Alzheimer che si aggira in ciabatte come un vecchio pantofolaio rincoglionito senza più avere la verve dei capitoli precendenti, in cui almeno ci si divertiva e si riconosceva “il personaggio” John McClane. Ora invece si vede Bruce Willis che fa John McClane, nemmeno troppo bene, senza avere alcuna forma di divertimento, ci si annoia e basta.
La regia è traballante non solo metaforicamente ma anche oggettivamente perché si vede la camera ondeggiare tremolante in su e in giù di continuo: da mal di mare. Non ne conosco il motivo e ignoro se sia una scelta stilistica in voga al momento ad Hollywood ma credo che i nostrani Manetti Bros lo facessero già dai tempi della prima serie dell’Ispettore Coliandro e non stiamo parlando di megaproduzioni americane ma di due registi di genere noti solo in Italia. Non voglio esprimermi sugli attori redivivi, anche qualora fossero giovani, ma voglio esternare tutto il mio stupore nell’aver trovato Sebastian Koch in questo cesso catatonico di film. Sulle prime ero convinto fosse Brian Cranston per la somiglianza con Walter White ma mai e poi mai avrei pensato di vedere il protagonista dello splendido “Le vite degli altri” in un filmaccio del genere. Irriconoscibile.
Tuttavia il momento più basso di tutto il film è quando il villain di turno si presenta con una carota in mano. Non so se sia una citazione di “Shoot’em up” o un’idea pensata in maniera indipendente ma in entrambe le circostanze sarebbe necessario un bel Trattamento Sanitario Obbligatorio, nel primo caso perché è un delitto cercare di conservare una qualche traccia della creazione di un filmaccio che non ha nemmeno la dignità del trash, nel secondo perché ipotizzerei qualche serio disturbo mentale. Rimane il dubbio sull’origine della frequente attrazione per le carote ma preferisco non indagare.
Il momento più alto è i titoli di coda che scorrono sulle note di “Doom and Gloom” dei Rolling Stones, l’unica buona scelta di tutto il film.
Da evitare per lasciare intaccato l’alone mitico della trilogia che, al contrario, è da rivedere.
Giudizio in minuti di sonno : Giuro che avrei voluto pisolare ma ancora non riesco a capire perché io rimanga sempre sveglio guardando le stronzate e finisca invece per dormire davanti a quello che mi interessa. Adam Kadmon, aiutami tu!