Il Friuli mi è capitato di vederlo di sfuggita, di passaggio.
Mi ero fermato a Cormons a comprare Ribolla Gialla, prima di passare il confine Sloveno (dove diventa Rebula), un pochino eccitato all’idea che Hemingway potesse essere passato da quelle parti (una fantasia totale alimentata esclusivamente dal fatto che lo avesse citato in “Addio alle armi“). Stessa sensazione provata quando mi sono trovato sul Lago Maggiore, a pochi chilometri dal confine, dove il protagonista del romanzo fuggiva di notte per scappare in Svizzera. Mi diverte finire in questi luoghi descritti da altri, è come entrare a far parte del libro per vedere tutto quello che possono aver visto lo scrittore e il protagonista. Trascurando l’imbarazzante fatto che non mi ricordi ormai più un cazzo di quel libro ad eccezione dei luoghi. Ho una memoria selettiva e, nello specifico, ricordo solo le minchiate inutili (Per dire, di tutto l’esame di Antropologia Culturale ricordo qualche curiosità sulle popolazioni e che un tale Tylor era Quacchero, ma ignoro completamente cosa potesse aver detto di interessante).
Al termine di una cena con cui congestionare un pomeriggio di lavoro passato insieme ad un personaggio poco collaborativo (del genere che non solo sbuffano mentre tu corri a destra e a manca perché loro hanno da andare [dove poi non è chiaro, il tizio in questione credo fosse un paladino della giustizia in incognito, a giudicare dall’urgenza del suo desiderio di fuga forse doveva correre a salvare Gwen Stacy] e che non solo non ti aiutano ma se possono ti mettono anche un pochino i bastoni tra le ruote. Di quelli che se gli fai notare di aver bisogno di X loro ti dicono di non averne mai visto uno da quelle parti [come se un fruttivendolo sostenesse di non aver mai visto una mela in vita sua, di non averne mai vendute e che nel suo negozio, se sono entrate, è perché portate da qualche cliente] ma, sapendo che può capitare, ti armi di pazienza e cerchi di studiare soluzioni alternative. Il bieco individuo però quando vede che il tempo passa, scandito in maniera proporzionale alla frequenza delle sue sbuffate, e che nulla si sblocca, improvvisamente dopo quasi un’ora ha un “remember” (come diceva un mio parente) e fa cadere dall’alto la remota possibilità che potesse esserci un X da qualche parte. [Come se non lo sapesse perfettamente.] E’ come chiedere in un albergo se c’è un letto nelle camere e sentirsi dire “Mah, potrebbe esserci ma non sono proprio sicurissimo..forse c’è rimasto un materasso, ma non in tutte. Non saprei, devo andare a controllare.” ) siamo stati “placcati” da un ragazzo che ci voleva offrire da bere perché era il suo compleanno. E a quanto pare in Friuli non puoi rifiutarti quando ti offrono da bere perché la prendono sul personale (così ci dice) e non ti mollano fino a che non accetti i giri gentilmente offerti (in piemonte questa è quasi fantascienza). Il primo di grappa lo prendiamo, il secondo di liquore alla nocciola lo scampiamo, ma al terzo di prosecchino non si sfugge. Il tutto ovviamente senza smettere di tenere d’occhio il cameriere che ogni tanto versava robe a caso nei bicchieri lasciati incustoditi ma di cui i nostri amici della sera non si curavano minimamente. Per questo motivo ogni volta che lasciavano il calice sul bancone le virate di colore potevano essere molteplici: partenza giallo paglierino, poi cremisi e così via in base alle giunte, fino ad un colore indefinibile.
Il tizio che ci ha fermati, un ragazzone con i pantaloni mimetici, gli orecchini e un giubbotto di pelle che lo contiene a malapena, si chiama “Simon” (ma si legge “Saimon”, come ci tiene a precisare) e sbottonato dall’alcol inizia a parlare di sé. Racconta di come, a causa di una serie di lutti vicini, fosse “ossessionato” dall’idea della morte (con ottime ragioni stando al suo racconto) e che il pensiero lo turbasse abbastanza in un certo periodo della sua vita. Ci ha parlato delle sue esperienze lavorative e di come è approdato alla sua occupazione attuale. Rimasto senza lavoro trovò un annuncio da parte di un’agenzia di viaggi che cercava personale. Si presentò al colloquio e scoprì che si occupavano dell’ultimo viaggio delle persone (forse ho conosciuto il protagonista di “Departures“). In sostanza lavora come necroforo (becchino mi pareva irrispettoso). L’inizio è piuttosto grottesco però ci racconta che alla lunga non solo si è abituato ma è riuscito ad esorcizzare il pensiero della morte proprio confrontandosi con essa ogni giorno. Sembrava sereno mentre raccontava che sta meglio ma che non riesce a spiegarsi come certe persone sopravvivano fino a novantanni senza aver dato niente e senza aver nulla da dare mentre altre, con tutta una vita davanti, lasciano moglie e figli (alla scomparsa di una persona che conoscevo e nel ritrovarmi in mezzo a discorsi idioti nel posto in cui ci trovavamo più spesso mi venne in mente la frase conclusiva di una storia di Lupo Alberto : “sono sempre i peggiori quelli che restano.“). La paura è passata ma rimane la domanda su quale sia “l‘insondabile logica della vita” a cui ancora non ha trovato risposta pur continuando a cercarla e trovando un senso in un apprezzamento inaspettato al suo lavoro da parte dei parenti dei defunti.
L’amico con cui era a bere, che ha passato il tempo a prendere in giro il compare e a raccogliere da terra ogni tre per due la sigaretta che gli cadeva a terra, ad un certo punto si fa serio pure lui. Ed è quando racconta che a causa dell’obesità ad undici anni dovette ingegnarsi per rendere più gustose quelle poche cose che poteva mangiare. Piatti che gli riuscivano così appetitosi che tutta la famiglia finiva per mangiare quello che lui preparava. Quando parla della sua passione è un’altra persona. Dice che come si annoia a leggere un libro qualunque, potrebbe invece stare fino alle tre di notte a leggere ricettari immaginando le modifiche che potrebbe fare e i sapori che potrebbero avere. Sostiene che abbiamo perso il gusto per i sapori, quelli che lui ricorda dall’infanzia con suo nonno, quelli della cucina popolare. E forse è per questo che fa il cuoco.
Quando parliamo delle nostre passioni diventiamo tutti più seri.
Incontri come questi sono decisamente piacevoli. Intanto mi fanno rivalutare le persone e accantonare (momentaneamente) il fastidio che provo in certe occasioni sociali. Non voglio dire robe tipo che “nulla accade per caso” perché non ci credo, le ritengo sonore stronzate, ma di certo spesso capita di essere messi alla prova e di trovare delle soluzioni in quelle che erano le situazioni peggiori in cui potessimo trovarci. Soluzioni per giunta funzionanti e soddisfacenti che ci permettono di trovare risorse inaspettate e motivi di progresso personale. A spalare merda magari si smette di aver paura di finirci e quando ci si trova con le spalle al muro rimane solo combattere (Sunzi diceva che “Se si pongono gli uomini in una posizione priva di vie d’uscita, essi non fuggiranno nemmeno di fronte alla morte” ma in un caso come questo, senza stare a scomodare roboanti nomi, può anche bastare un Gunny con “Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo!“).
Ed è consolante, in fondo in fondo.
Anche se alla fine di tutto la logica della vita rimane sempre insondabile. Almeno per ora che non ci sono risposte a domande che, comunque, sarebbero quelle sbagliate.
Jeremy colpo basso!
la ribolla gialla mi fa impazzì!
Eh beh, è un gran vino!
Non sono amante dei bianchi ad eccezione di quello, il Traminer e il Timorasso.. 😉
io amo il vino in generale, ma la ribolla è il top per me! 🙂
Hai buon gusto! 😉
anche tu!
ora sai cosa offrirmi.
🙂