Il numero cento

Le ricorrenze, ma soprattutto il compleanno mi mettono sempre in una situazione di curioso imbarazzo (l’unico punto in comune che riesco a trovare con i Testimoni di Geova) per una quantità di motivi che variano di anno in anno e per la netta sensazione di essere fuori posto e di sentirmi un attimo scemo in mezzo a tutta quella gente che festeggia, perché a volte mi viene il dubbio che non ci sia poi tanto da festeggiare, ma va bene ugualmente così. Tutto questo per dire che oggi accade qualcosa di particolare. Questo che sto scrivendo è il centesimo post. Sento un minimo di pressione ma più di tutto mi dico se sia necessario fare qualcosa per festeggiare l’evento. Non ho mai festeggiato adeguatamente nemmeno le due lauree (per quel che possa contare una triennale, se stiamo a vedere in realtà è una sola) e quindi mi trovo in difficoltà ma allo stesso tempo sento di dovermi dare un piccolo premio. Una coccola, un pat pat. Le cose eclatanti mi sono sempre state sulle palle e mi rifiuto di fare bilanci con statistiche, quindi ho preso spunto dall’universo bonelliano (a volte mi piacerebbe essere Dylan Dog, certi incubi sono decisamente più umani della realtà) e ho semplicemente colorato tutto il post per questo motivo (che per un blog interamente in bianco e nero [pure le mie foto sono sempre più spesso solo in bianco e nero], a pensarci bene, è piuttosto eclatante).

Nelle ultime due-tre settimane mi è capitato di ripetere continuamente lo stesso gesto prima di andare a dormire. Mi piazzo a letto e inforco le cuffie del mio vecchio lettore cd per ascoltare un paio di volte “Enjoy the silence” prima di passare a leggere o a dormire direttamente. Non viene dal mio album preferito (“Songs of faith and devotion“) ma mi ha sempre accompagnato in alcuni momenti. Già dai primi versi sento qualcosa tra il malinconico, l’insofferente e il delicato (Words like violence / Break the silence / Come crashing in / Into my little world); un misto di fastidio per un un mondo frenetico fatto di miriadi di parole inutili, superflue, senza significato e un bisogno di silenzio spogliato dal non necessario. “Le parole travisano quello che si prova veramente in cuore diceva Chaim Potok. Capita raramente di concentrarsi su qualcosa che non siano parole in forma di voci. Siamo bombardati da parole e da informazioni inutili. In questi momenti, le mie stesse parole mi arrivano con la stessa pesantezza di qualcosa che andrebbe attenuato ed eliminato in alcuni frangenti precisi e ridotte all’essenziale per cercare di cogliere il non detto, un’emozione, un istante in cui immergersi e da vivere realmente. Il suono della voce deteriora i contenuti. Non è come leggere, in cui le idee contribuiscono al concretizzarsi di pensiero, di un’immagine, è un perdersi in frasi senza arrivare all’essenziale del concetto. Le parole riempono i vuoti. C’è la paura del silenzio, per quanto sia una rarità è una condizione impossibile se non come stato mentale (Il silenzio dei rumori).

Sabato a pranzo ero da solo. Non avevo voglia di sentire parole dalla televisione, voci di notizie o musichette insulse. Ma avevo voglia di riempire quel silenzio con qualcosa di magnifico, con un silenzio musicato, con uno di quei sublimi di cui si intuisce la grandezza senza riuscire ad arrivare realmente a farne parte per coglierne ogni sfumatura. Una bellezza da Ammirare anche solo da lontano. Allora metto “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij (o Tchaikovsky o Ciajkovskij [a quanto pare il cognome di quest’uomo si può scrivere come cazzo si vuole]), l’unico compositore di musica classica che mi incuriosisca e che mi piaccia (mi ci sto avvicinando molto lentamente, ho fiere radici da metallaro da difendere). Così,  Mentre la musica riempiva la stanza, io me ne stavo un poco più in là, seduto davanti ad una tavola sporca e con ancora i resti sparsi della colazione, intento a mangiare la minestra dalla pentola con un cucchiaio di legno e un mestolo, a petto nudo per il caldo (la minestra scalda) e particolarmente imbruttito dalla mattinata di allenamento.

In silenzio.

Words are very unnecessary.

21 pensieri su “Il numero cento

  1. Sei un amore se ascolti “Lo schiaccianoci”, santo cielo.
    E “Songs of faith and devotion” è anche il mio album preferito dei Depeche Mode, e la cosa figa è che l’hanno pubblicato tipo un mesetto prima che nascessi io. No, ora che la scrivo non è poi così figa, ma sembrava più figa quando l’ho scoperta.

    Detto questo. Complimenti per il centesimo post!, ma non provare mai più a mettere tutti quei colori, ora ho gli occhi tipo Kaa nel Libro della giungla, presente? (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/e/e0/Kaaldg.png)

  2. Pat pat. Fantastico. Credo che esprima tutto quello che che hai provato mentre scrivevi. Ti consiglio anche Chopin. Ma da buon metallaro, penso che Beethoven potresti apprezzarlo. Secondo me al giorno d’oggi, il vecchio Beethy sarebbe il re dell’hard rock. Buon centesimo post, e buon tempo che passa!

    • ahahah! Grazie per la pacca! Chopin non mi entusiasma (ho sentito qualcosa qua e là) ad eccezione della polacca. Ludovico Van (per dirla all’Arancia Meccanica) mi piace la quinta sinfonia ma non mi sono mai spinto oltre però penso che tu abbia ragione.
      Grazie mille, speriamo che passi bene perché mi sembra sempre di non averne.

Secondo me....

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