Giovanni Vivaldi è un impiegato ministeriale che si occupa delle pratiche per il pensionamento dei contribuenti. Mancano pochi mesi affinché vada in pensione a sua volta e prima che accada decide di adoperarsi per far subentrare al suo posto il figlio Mario, ragioniere, che dovrebbe però sostenere un regolare concorso insieme a moltissimi altri candidati. Si prodiga allora per fargli ottenere un occhio di riguardo dal suo capo, il Dottor Spaziani, che tuttavia gli può garantire aiuto negli orali ma non nella prova scritta, la cui buona riuscita sarebbe dipesa esclusivamente dalla preparazione di Mario. Giovanni però vuole essere totalmente certo dell’assunzione del figlio e quindi decide, su consiglio del suo capo, di aderire alla massoneria in quanto questa avrebbe potuto procurargli in anticipo il testo della prova scritta. Dopo una surreale cerimonia d’iniziazione con tre prove, una delle quali prevedeva bere del veleno (Amaro Montenegro), Giovanni entra a far parte della loggia (scoprendo tra l’altro di essere l’unico del suo piano al ministero a non avervi mai aderito) e ottiene il testo dello scritto.
Il fatidico giorno del concorso, mentre entrambi si stanno recando presso la sede d’esame, Mario viene ucciso da un proiettile vagante sparato da un rapinatore che si stava facendo largo tra la folla. Giovanni riesce tuttavia a vederlo bene in volto e tempo dopo lo riconosce durante un “confronto all’americana” organizzato dalla questura ma, invece di denunciarlo, decide di vendicarsi di persona.
Brevissimo romanzo ma di grande impatto, scritto in maniera incisiva e scorrevole. Ritratto impietoso di un’Italia i cui maneggi occulti sono ormai noti, dove vigono i favoritismi e la raccomandazione. Il lato sgradevole di Giovanni è proprio quello di essere squisitamente Italiano e disposto a tutto pur di far arrivare il figlio in una posizione di prestigio. Il suo pensiero è già chiarito nella primissima pagina del libro con le parole “Un giovane in gamba per davvero pensa al suo avvenire, a nient’altro che a quello e lascia che gli altri si impicchino.”. Dovrebbe risultare veramente odioso, specialmente se presentato in un periodo come questo in cui ne abbiamo tutti pieni i coglioni dei favoritismi e del clientelismo (ma forse non abbastanza) , ma in realtà non è questa la reazione che suscita. Giovanni è una persona che ha lavorato un sacco e che nel suo piccolo cerca di fare tutto quello che può per assicurare un posto a suo figlio. Non ha mai fatto parte di quel sistema di favoritismi, ma decide di farsi coinvolgere solo per un bene maggiore. Si può biasimare, ma in parte si comprende. Soprattutto perché, a differenza di quanto accade nei nostri tempi, non è ipocrita e non nasconde le sue intenzioni dietro a scuse o razionalizzazioni. Lui è disposto a fare di tutto per dare al figlio un lavoro sicuro. Ribadisco che è biasimabile ma è pur sempre preferibile a chi si erge a campione del popolo quando in realtà nasconde realtà meschine. Non farti vedere e passerai inosservato. Mi viene in mente (giusto per citare un episodio di sfacciataggine che mi aveva irritato parecchio) Michel Martone, viceministro del lavoro e delle politiche sociali durante il Governo Monti che, dopo aver detto che “se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato”, venne fuori che la sua brillante carriera universitaria non fosse proprio dovuta a meriti accademici, come venne evidenziato da Travaglio (in questo video). Era un perfetto sconosciuto, nessuno sapeva chi cazzo fosse e se avesse deciso di assomigliare di più a questo impiegato ministeriale si sarebbe risparmiato una figura di merda e sarebbe risultato meno odioso. Solo quello.
La storia di Giovanni Vivaldi è una parabola tragica puramente italiana, è quella di un “borghese piccolo piccolo” a cui non rimane nulla e la cui vita viene stravolta da un’incidente che vanifica una vita intera e che viene inquinata dalla vendetta violenta.
Amaro e diretto.
Vincenzo Cerami, scomparso lo scorso Luglio, esordì nel 1976 come scrittore proprio con “Il borghese piccolo piccolo”; è stato anche sceneggiatore (ha lavorato con Amelio, Nuti, Bellocchio e ovviamente Monicelli che nel 1977 fu il regista della trasposizione cinematografica di questo romanzo, con un Alberto Sordi da brividi) tra cui la “La vita è bella” (ma anche di altri film di Benigni : “Il mostro”, “La tigre e la neve”, “Johnny stecchino”) che gli è valsa la candidatura all’Oscar nel 1999. Fu allievo di Pier Paolo Pasolini (di cui fu anche aiuto regista in alcuni film) che avrebbe dovuto curare la presentazione della prima edizione ma morì l’anno prima della pubblicazione in circostanze mai chiarite. Fu allora Italo Calvino a presentarlo in una nota di quarta di copertina nella prima edizione che disse di questo libro “una lente d’ingrandimento puntata sulla bruttezza senza riscatto che regna nel cuore del nostro consorzio civile, ma anche sulla tenace rabbia di vivere che persiste in fondo ad un desolato svuotamento di ragioni vitali.” in cui “i fatti, appena successi, vengono inghiottiti dalla sorda vischiosa continuità dell’esistere. E’ una storia di vittime e nello stesso tempo di mostri, quella che Cerami racconta: vittime d’un assurdo che possiamo scegliere di definire sociale oppure metafisico senza che questo cambi nulla nell’oscura, quasi inarticolata determinazione con cui vi si muove chi non ha altro fine che il farsi largo entro un chiuso orizzonte.”
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