Le vicende sono quelle “note” legate alla Strage di Piazza Fontana del 1969, la morte di Giuseppe Pinelli e l’omicidio Calabresi. “Note” perché legate ad avvenimenti famosi e non perché chiarite definitivamente in qualche modo. E’ ancora tutto impastato da supposizioni, ricostruzioni, teorie, punti di vista politici, insabbiamenti : la solita palude all’italiana insomma, in cui non si verrà mai a capo di nulla.
L’unico dato reale, se pur riduttivo, è che sono morte delle persone.
A seguito dell’attentato alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura il commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) viene incaricato delle indagini ed effettua una serie di arresti tra cui quello di Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) perché considerata una persona potenzialmente informata sugli avvenimenti. I due già si conoscono a seguito di precedenti indagini svolte dal poliziotto all’interno del Circolo anarchico del Ponte della Ghisolfa, di cui Pinelli era appunto un attivista di spicco ma notoriamente legato a frange non violente e nonostante l’appartenza a barricate diverse condividevano un reciproco rispetto personale. L’interrogatorio di Pinelli, durato tre giorni, termina con la sua morte dopo essere precipitato dalla finestra della stanza in cui era trattenuto. Il commissario Calabresi viene accusato di essere il responsabile della morte ed inizia il processo a suo carico mentre prosegue le indagini sull’attentato in cui scopre che… e per sapere di più guardatevi il film, anche se riprendendo avvenimenti reali è piuttosto ovvio come vada a finire.
Il film ricostruisce un periodo buio dell’Italia (ripreso dalle atmosfere molto scure) immerso in tutta una serie di persone e di avvenimenti diventati poi il simbolo degli anni di piombo, non solo Calabresi, Pinelli e la Strage di Piazza Fontana, ma anche Aldo Moro, Giuseppe Saragat, Valerio Junio Borghese, Giangiacomo Feltrinelli, ripercorrendo anni veramente difficili della nostra storia. Cinematograficamente il film è da guardare, torbido, cupo, con delle atmosfere pregne di tutto il carico che vanno a portare. Lascia una strana sensazione di irrisolto, di qualcosa di non detto e di mancante, che probabilmente è dovuta in realtà alle vicende stesse. Il tentativo è quello di un resoconto di cronaca senza sbilanciarsi da una parte piuttosto che dall’altra, ma leggendo i giudizi sulla ricostruzione (a seguire) sorge qualche perplessità. E’ un film necessario, quantomeno per fomentare nuovi dibattiti e nuove discussioni sulla riesamina del nostro passato nella coscienza di dover rivedere, nell’ottica di tutto questo, il nostro presente.
Immersi nella certezza che la verità non verrà comunque mai fuori.
Mastandrea e Favino sono, al solito, maledettamente bravi e tutti gli attori coinvolti funzionano nell’aggiungere la loro parte al torbido di questa storia.
Sulla bontà della ricostruzione è difficile dare un giudizio, almeno per me, per cui affido la questione a due voci note.
Mario Calabresi, figlio del Commissario e attuale direttore de “La stampa“, sul Corriere della Sera (Calabresi e il film su Piazza Fontana «Sparita la campagna contro papà») dice : “È un film importante per ricordare quel che è stata Piazza Fontana. Era necessario un omaggio alla memoria e a tutte le vittime: i morti della strage; Giuseppe Pinelli; mio padre; e l’ultima vittima, la giustizia. Giordana è stato coraggioso, perché è uscito dalla contrapposizione tra mio padre e Pinelli, che in questi quarant’anni c’è sempre stata; per cui se si faceva qualcosa per papà subito si rispondeva “allora perché non Pinelli?”, e se si diceva qualcosa per Pinelli la replica era “allora perché non Calabresi?”. Il film è sulla linea del presidente Napolitano, che si è impegnato per restituire umanità alle persone, liberandole dalla condizione di simboli, e con questo spirito nel maggio 2009 fece incontrare Licia Pinelli e mia madre. Non è un film buonista, non edulcora la realtà, anzi ha il pregio di mostrare che Pinelli e mio padre facevano due mestieri diversi, erano persone agli antipodi; ma non erano nemici. Romanzo di una strage ha il coraggio della verità storica, che in questo caso coincide con la verità giudiziaria: mostra chiaramente che mio padre non era nella stanza quando Pinelli cadde. E sfata alcune leggende nere: il segno del “siero della verità” era la flebo infilata dai barellieri nel braccio di Pinelli; il “colpo di karate” era l’ematoma lasciato dal tavolo dell’obitorio; le dicerie sull'”uomo della Cia” nascono da un errore più o meno voluto, un caso di quasi omonimia con Calabrese, funzionario di collegamento del Viminale a Washington“. Allo stesso tempo sottolinea però che “I due anni terribili della campagna di Lotta continua contro mio padre non ci sono, se non per qualche vago accenno: una scritta sul muro, i fischi al processo. Ma se nascondi quella campagna, se non metti in scena il clima del tempo, il linciaggio, la disperazione, si fatica a capire perché sia stata condannata Lotta continua. La morte di mio padre sembra legata solo ai suoi sospetti sulla destra, al “sogno” finale, al dialogo con il capo dell’ufficio Affari riservati Federico Umberto d’Amato. In realtà, l’idea che fosse stata la destra a mettere la bomba mio padre l’aveva chiarissima fin dall’inizio. La frase che peraltro nel film non c’è — “menti di destra, manovalanza di sinistra” — la disse subito: a mia madre, al questore, al ministero, agli Affari riservati. Nel film non si vedono la campagna d’odio, i titoli macabri, le lettere minatorie, gli insulti per strada. Mio padre si sentiva seguito, pedinato. Si doveva nascondere. Con mia madre non potevano più andare al ristorante, al cinema lei si sedeva e lui si chiudeva in bagno fino a quando non si spegnevano le luci…“.
Adriano Sofri nel suo istant book “43 anni, Piazza Fontana, un libro, un film“, commenta in questo modo “Del film, a me interessa qui l’attinenza con la realtà. Un film di tale impegno, perfino indipendentemente dalla sua qualità, è destinato a far testo sulla vicenda che racconta. Per questo ne scrivo. E anche perché il film si dichiara “liberamente ispirato” a un libro nel quale i “riferimenti a fatti e persone reali” sono spaventosamente “inesatti”. Gli autori hanno voluto segnare una distanza dalle tesi particolari del libro, e del resto il film se ne è discostato su punti essenziali. Il libro sostiene che Valpreda andò a deporre una bomba, benché nelle sue intenzioni solo dimostrativa, nella banca di piazza Fontana. Che Pinelli era a parte di un progetto di attentati simultanei, benché nelle intenzioni solo dimostrativi, e intervenne quel pomeriggio nel loro svolgimento. Che Calabresi era nel suo ufficio quando Pinelli ne fu defenestrato, e forse fu lui a “metterlo nell’angolo con impeto”. Il film ha ripudiato queste opinioni. Tuttavia in una scena finale – la più arbitraria, ai miei occhi: quella del dialogo fra Calabresi e il capo degli Affari Riservati, D’Amato – il film ha mantenuto la tesi principale sulla quale il libro è costruito, secondo cui nella strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura, e negli altri attentati che la accompagnarono e la precedettero, si attuò una strategia della estrema destra eversiva e degli apparati segreti italiani e stranieri consistente nel “raddoppiare” tutto: due bombe, due borse a contenerle, due attentatori. Uno anarchico, l’altro fascista. Uno intenzionato a fare il botto, l’altro a fare morti. Considero questa tesi insensata, e nelle pagine che seguono lo argomenterò.“
Che altro dire? Una buona prova filmica anche se personalmente preferisco “I cento passi”.
Ad un certo punto però mi è proprio toccato chiedermelo: “Che cazzo ci fa Francesco Salvi in un film del genere?”
Giudizio in minuti di sonno: neanche un minuto.
Incredibile, l’ho guardato ieri sera questo film. Veramente coinvolgente e ben realizzato. Non indulge nella celebrazione di nessuna delle parti, né nel sentimentalismo posticcio. Mi è piaciuto.
Concordo con un’affermazione estemporanea… ma fra tutti gli attori milanesi, proprio Francesco Salvi?
Concordo, anche a me è piaciuto ma ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa senza essere in grado di focalizzare che cosa.
E’ impossibile non chiedersi perché proprio lui, anche per un istante solo, magari rapidamente a livello subconscio.
Concordo, manca qualcosa… e penso, a mio modestissimo parere, che sia un risposta. Una risposta che il film non è in grado, e non può, dare. Sono rimasto incompleto sotto questo punto di vista, pur avendo molti spunti, argomenti a disposizione mi è sorta una domanda difficile: “Perché?”
Ah, Salvi nel film, penso, serviva per alleggerire la tensione. Un pò come le battute di Bruce Willis o qualcosa di simile. Dovevano mettere il tocco “made in Italy” in un ottimo film.
Tocco di Fregno, lo so che ti diverti tanto a scrivere le recensioni. Però tu mi devi produrre di più, sennò che ti ho sovvenzionato a fare con ben 2.99 Euri?
Sai che il mio dominus è stato difensore di uno degli imputati del processo di Piazza Fontana? E anche di un altro enorme processone itagliano.
Mi diverto veramente un sacco ed è un ottimo pretesto per avere qualcosa su cui scrivere quando non ho un cazzo da dire. Mi esercito proprio per non vanificare il tuo finanziamento.
Sticazzi…
Sticazzi a me????????????????
Ah ma forse tu lo usi impropriamente alla nordica…
Accompagname in banca dai, che non me và.
Probabile.. sempre a puntualizzare..
Guarda, non le reggo pure io ma sono insieme a te con il pensiero.
Ti ringrazio per il pensiero, ma, lo sai, ho la tendenza ad apprezzare la fisicità.
Vado và.
Mi raccomando, calma e rilassata..
Comunque sono sconvolta dal fatto che tu non abbia mai recensito Hard Candy. Parliamone.
E’ perché non faccio recensioni andando a ritroso.
che ne so, magari quando vai in posta ti torna in mente. Aveva delle trovate notevoli, per non parlare di miss Page.
L’idea di partenza era buona ma si è rivelato piuttosto deludente.
stavo per commentare una cosa, ma linguaccia mia… 😛 ti aspetto “All’alba dei morti viventi”.. 😉