Il pendolo di Foucault – Umberto Eco

Casaubon è uno studente in procinto di laurearsi con una tesi sui Templari (“Quando uno tira in ballo i templari è quasi sempre un matto“) che fa conoscenza con Jacopo Belbo, il redattore della piccola casa editrice milanese Garamond, poiché entrambi frequentavano il bar Pilade durante gli anni di protesta studentesca. Dimostrandosi pienamente competente e preparato quest’ultimo gli propone di partecipare ad un colloquio per valutare l’opera di un tale Colonnello Ardenti, che si muove appunto su quelle tematiche, al fine di dare la sua personale valutazione in proposito. Entrambi riconoscono la sconclusionatezza del personaggio e delle sue teorie e quindi Belbo decide di dirottarlo verso la casa editrice Manuzio che fa sempre a capo alla Garamond ma senza che esistano legami ufficiali tra le due.

Questo perché mentre la Garamond è prestigiosa e scrupolosa nelle sue edizioni e collane, la Manuzio invece si occupa esclusivamente di pubblicare senza filtro tutto il pattume che le viene proposto, ovvero i cosidetti impubblicabili perché portatori di teorie deliranti piuttosto che in assenza di qualsivoglia talento. il-pendolo-di-foucaultE’ il ramo che sfrutta i cosìdetti APS (Autori a Proprie Spese) in cui confluiscono quindi tutte quelle persone disposte a pagare pur di vedere il proprio libro pubblicato. Il meccanismo è semplice ed è una banale truffa (che peraltro soppravvive ancora): con una serie di salamelecchi si convince l’autore a sostenere le spese di stampa per la propria opera di cui comprerà buona parte delle copie esistenti, mentre quella rimanente non verrà nemmeno mai distribuita nei negozi e alcuni mesi dopo si comunicherà che tutte le copie avanzate sono destinate al macero per persuarderlo a comprarle. Quale autore permetterebbe la distruzione della propria opera?

Il Colonnello tuttavia sparisce durante la notte e si pensa possa essere stato ucciso. A questo punto sia in Casaubon che in Belbo si instilla un vago dubbio che ci fosse qualcosa di vero in tutto quello che sosteneva il colonnello a proposito di un elaboratissimo Piano con cui i Templari avrebbero predisposto una serie di passaggi di consegne nell’arco dei secoli tra gruppuscoli sparsi per l’europa al fine di conservare un fantomatico segreto di conoscenza superiore a cui sarebbe risalito mediante un documento scritto da lui ricostruito e interpretato (puff, pant).

Casaubon a questo punto decide di seguire in Brasile la sua fiamma del momento e restarvi per alcuni anni . Qui fa conoscenza con Agliè, occultista italiano che sostiene di essere il Conte San Germano con cui si scambierà i contatti prima del suo ritorno in Italia, a causa della fine della sua relazione sentimentale.

Al ritorno in patria si innamorerà di Lia e ritroverà nello stesso bar nuovamente Belbo il quale questa volta gli propone di lavorare per loro e ricercare immagini per un libro sulla storia dei metalli. Contemporaneamente il proprietario della casa editrice li incarica di costruire la collana “Iside svelata” in cui mettere insieme tutte le informazioni esoteriche che arrivano alla Manuzio in un unico tomo da pubblicare e in cui rivelare il “Piano” dei Templari partendo dalle rivelazioni del Colonnello Ardenti. Insieme a Diotallevi (collaboratore di Belbo alla Garamond) decidono di inventare di sana pianta un’elaborata teoria del complotto che comprendesse Templari, Rosacroce, Massoni, Anziani di Sion, Assassini di Alamut, Illuminati, Cabala e praticamente qualunque altra setta e società segreta esistente il cui perno di conoscenza sarebbe un sistema per controllare le correnti telluriche sotteranee (mi chiedo se David Icke abbia preso spunto da Eco per le sue teorie complottistiche sull’H.A.A.R.P.) che sarebbe stato poi nascosto e la cui ubicazione poteva essere scoperta solo tramite una specifica mappa (la rappresentazione delle terre emerse ovviamente è cambiata di molto dal 1300 ad oggi) che posta sotto il Pendolo di Foucault a Parigi ne avrebbe indicato la posizione. L’elaborazione di fantasia dei tre viene presa molto sul serio da Agliè, precedentemente chiamato a collaborare, che in realtà è fondatore di una società segreta esoterica e che a quel punto cerca di carpire il segreto che stavano ostentando. Diotallevi nel frattempo muore di cancro nella convizione delirante che la colpa sia del piano, penetrato in qualche modo nelle sue cellule. Belbo viene sequestrato e portato dagli affiliati della setta di Agliè al Conservatorio Nazionale di Arti e Mestieri di Parigi per indurlo a svelare tutto quanto. In un moto d’orgoglio e di scherno si rifiuta di rivelare qualunque informazione e finisce impiccato al pendolo (“Il più potente dei segreti è un segreto senza contenuto, perché nessun nemico riuscirà a farglielo confessare, nessun fedele riuscirà a sottrarglielo.”) sotto gli occhi attoniti di Casaubon che assiste impotente, nascosto nel museo e fugge sapendo di essere il prossimo sulla lista. Braccato, ricostruisce tutta l’assurdità della vicenda e decide di fermarsi per attendere di essere rintracciato, consapevole di non poter fare più nulla per arrestare l’ossessiva ricerca di un segreto che in realtà non esiste (“Non ci sono segreti più grandi, perché appena rivelati appaiono piccoli. C’è un segreto vuoto. Un segreto che slitta.”).

Secondo romanzo di Umberto Eco dopo “Il nome della Rosa“. Due sono i temi principali: il “ciarpame occultista” e la stupidità.  Nel trattare dei “diabolici” Eco costruisce un romanzo interessante e a tratti enciclopedico (prerogativa totalmente sua) sull’argomento, in cui riunisce tutta una serie di fatti veri e di supposizioni complottiste su cui tantissimo è stato scritto nel corso degli anni con speculazioni bislacche e deliranti.

Espone anche in breve le tre regole per rendere credibile qualunque cazzata esoterica o qualunque delirante piano complottista.

“Prima regola, i concetti si collegano per analogia. Non ci sono regole per decidere all’inizio se un’analogia sia buona o cattiva, perché qualsiasi cosa è simile a qualsiasi altra sotto un certo rapporto.

[..]

La seconda regola dice infatti che , se alla fine tout se tient, il gioco è valido. [..] Dunque è giusto.

[..]

Terza regola: le connessioni non devono essere inedite, nel senso che debbono già essere state poste almeno una volta, e meglio se molte, da altri. Solo così gli incroci appaiono veri perché sono ovvi.

In un certo senso, va a integrare la frase di OrwellI libri migliori sono quelli che vi dicono ciò che sapete già” ovvero quelli che confermano i nostri sospetti.

Il libro illustra il potere della segretezza e la sua capacità di suggestionare la mente umana. In un articolo apparso recentemente su Repubblica, (“Il potere segreto“, 27 Giugno 2013) che raccoglie un intervento di Eco, lo scrittore spiega che sopravvive ormai da millenni l’idea del segreto misterico corroborata dalla credenza che la verità si identifichi con il segreto. Di conseguenza chi ne possiede uno può esercitare sugli altri una forma di potere. Non a caso, dice, i servizi segreti sono più potenti quando più cose sanno o mostrano di sapere. Il meccanismo è quello infantile dei bambini che possono orgogliosamente dire “so qualcosa che tu non sai” che, tuttavia, pare permanere anche nel mondo degli adulti. La sindrome da complotto porta a discussioni senza fine e alla paura che i più disparati gruppi di persone possano tramare nell’ombra, come attualmente nel caso della Trilaterale o del Gruppo Bilderberg, “come se fosse un mistero che politici, industriali e banchieri si incontrano quando desiderano senza bisogno di pubblici convegni per decidere sulle strategie economiche.

Eco già nella prima pagina del suo libro deride il pensiero esoterico (“La superstizione porta sfortunaRaymond Smullyan) di cui delinea nel corso della trama una caricatura grottesca e ridicola scardinandone tutti i pilastri basati su coincidenze, evidenze anedottiche, casualità e analogie prive di razionalità, sempre con grande eleganza e ironia. E’ esemplare il capitolo in cui Lia analizza il documento del Colonnello Ardenti dimostrando, con una serie di ragionamenti semplici (rasoio di Occam) corredati da evidenze storiche, che non era nulla più della lista della spesa di un mercante mentre gli sforzi per far reggere tutto l’elaborato impianto del “Piano” sono enormi e richiedono una serie di macchinazioni totalmente avulse dalla realtà.

E’ anche un romanzo sulla stupidità, come viene chiarito già nel 10 capitolo durante un dialogo tra Casaubon e Belbo (che mi ricordava tanto Le leggi sulla stupidità umana di Cipolla, vedi Soffitti, attese, stupidi & illuminazioni) in cui quest’ultimo divide il mondo tra cretini (“non parla neppure, sbava, è spastico. Si pianta il gelato in fronte, per mancanza di coordinamento“), imbecilli (“E’ un comportamento complesso. L’imbecille è quello che parla sempre fuori dal bicchiere.“), stupidi (“Lo stupido non sbaglia nel comportamento. Sbaglia nel ragionamento.” [..] Lo stupido è insidiosissimo. L’imbecille lo riconosci subito (per non parlare del cretino), mentre lo stupido ragiona quasi come te, salvo uno scarto infinitesimale“) e matti (“E’ uno stupido che non conosce i trucchi. Lo stupido la sua tesi cerca di dimostrarla, ha una logica sbilenca ma ce l’ha. Il matto invece non si preoccupa di avere una logica, procede per cortocircuiti. Tutto si dimostra con tutto. Il matto ha un’idea fissa, e tutto quel che trova gli va bene per confermarla. [..] E le parrà strano, ma il matto prima o poi tira fuori i Templari.“), mentre la persona normale è solo qualcuno che mescola tutte queste componenti in una misura accettabile.

No, forse non è un romanzo sulla stupidità ma sulla pazzia, a pensarci bene.

Infatti gli appartenenenti alle logge segrete vengoni ridicolizzati e dipinti come folli personaggi che in realtà giocano con un segreto inesistente, pronti ad impossessarsi di una qualunque identità venga fornita loro: “Inventando un piano gli altri lo realizzano, il piano è come se ci fosse, anzi, ormai c’è.“.

La realtà, per bocca di Lia, è questa:

Ora immagina che un buontempone viennese, per tener allegri gli amici, si fosse divertito a inventare tutta la faccenda dell’Es, e dell’Edipo, e avesse immaginato dei sogni che non aveva mai fatto, e dei piccoli Hans che non aveva mai visto.. e poi cos’è successo? Che c’erano milioni di persone pronte a diventare nevrotiche sul serio. E altre migliaia pronte a sfruttarle.

Pazzia che ultimamente trovo dilagante su molti siti internet e di presunta informazione. Leggere “Il pendolo di Foucault” è liberatorio in questo senso ma anche inquietante. Ci si rende conto di quanto siano stupidi (leggi “pazzi”) certi meccanismi di pensiero e certi comportamenti diffusissimi, ma allo stesso tempo si deve realizzare quanto poco le cose cambino anche con il progredire della cultura e della conoscenza. Siamo legati ancora alla supersitizione e all’occulto (non necessariamente in forma esoterica) a livello paranoide e non razionale. Sono pur convinto anche io che la verità non venga mai svelata alle masse, ma non per questo prendo per buona una qualunque teoria che non sia suffragata da solide evidenze. Tutto ciò che non ne possiede non sussiste. Il punto di partenza è che la conoscenza viaggi a livello di certezza, tenendo sempre ben presente che è cosa ben differente dalla verità. Prima di Galilei si era certi che la terra fosse piatta ma non era la verità. La certezza è quindi un’entità falsificabile da cui ne consegue che è suscettibile di revisioni di fronte a qualcosa che riesca a spiegare meglio la realtà o di sostituzione di fronte ad un modello più funzionante, ma non da teorie basate solo su supposizioni o sospetti.

Nell’intreccio la trama comincia dalla fine e ripercorre tutto l’itinerario della fabula (pensavo fosse “In medias Res” ma i miei appunti del liceo mi hanno smentito); elaboratissimo, pieno di riferimenti, citazioni, notizie al punto da farmi temere di aver già scritto qualche cagata o aver dimenticato qualcosa. La cura che Eco mette nei suoi romanzi è di una ricercatezza  e precisione quasi ossessive, difficilmente riscontrabili in altri scrittori, che se da un lato rappresentano qualità apprezzabili dall’altro rendono alcuni passaggi molto pesanti e difficilmente digeribili ad un non appassionato di questi temi (non a caso pare che rencentemente abbia lavorato su una nuova edizione snellita) a cui potrebbero risultare terribilmente indigesti e prolissi.

Proprio per questo però Eco è uno dei pochi che fa sentire al sicuro in quanto ad attendibilità dell’informazione e fa pensare “se l’ha detto lui sarà sicuramente vero!”.

Va letto per ristabilire la razionalità.

“Che cazzo!” ci aggiungerei per concludere il post con eleganza.

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8 pensieri su “Il pendolo di Foucault – Umberto Eco

  1. Ebbravo. Però c’è una cosetta che vorrei puntualizzare (m’hai attaccato la malattia) quelli che tu definisci passaggi pesanti per un non appassionato delle tematiche affrontate, per me sono stati straordinari spunti di ricerca. E’ passato un millennio da quando l’ho letto, ma non mi sono fatta sfuggire nulla di quegli spunti (così come per il Il nome della rosa, ma anche per A che punto è la notte di Fruttero e Lucentini). Del resto le tematiche sono le medesime oggetto del libro, in tutti e tre i libri che ho citato e, ritengo, che il modo migliore per leggerli sia proprio quello di non sorvolare sugli spunti.
    Il tutto scritto con un tono un po’ acidello e fastidiosetto.

Secondo me....

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