Roland Bozz (Colin Farrell) è una recluta in un campo di addestramento che prepara i militari per partire nella guerra nel Vietnam. Refrattario alle regole e alla disciplina vive in perenne consegna e con il rischio continuo di finire davanti alla corte marziale o ai lavori forzati. I suoi superiori lo detestano e cercano di piegarlo ma senza mai riuscirci, forte della sua spavalderia e intelligenza superiore. Bozz sta seguendo l’addestramento finale, quello che simula la guerra esattamente come si svolge in Vietnam e che dovrebbe avere il suo culmine nella settimana finale da trascorrere a “Tigerland“, un luogo della Lousiana che riproduce perfettamente l’ambiente in cui verranno mandati al termine di questa ultima fase di preparazione. Durante questo periodo in cui medita come fuggire, si guadagna il rispetto dei suoi commilitoni per il suo atteggiamento umano e per essere riuscito a trovare ad alcuni di loro le scappatoie necessarie per ottenere il congedo e abbandonare l’esercito senza conseguenze. L’unico ad odiarlo è lo psicopatico (e antipaticissimo) Wilson (Shea Whigham [che appena visto mi pareva un viso noto ma non riuscivo a focalizzarlo e a collocarlo. Trattasi del fratello di Bradley Cooper in “Il lato positivo“. Ecco perché non mi sembrava nuovo. In realtà tra quelli che ho visto era anche in “This must be the place” e “Pride and Glory” benché proprio non lo ricordassi, ma andiamo avanti]) con cui si succedono numerosi scontri e vendette in ogni occassione.
In principio fu “Full Metal Jacket” a spostare l’attenzione dalla guerra in sé al durissimmo addestramento di preparazione, ai limiti del disumano e della follia a cui vengono sottoposte le reclute, e da lì in poi tutti i registi successivi fanno tutti una capatina in questi luoghi fino a quel momento mai considerati. Che io sappia almeno. In realtà “Gunny” è dell’anno precedente (1986) ma, nonostante buona parte del film ruoti attorno al periodo addestramento preguerra, siamo lontani anni luce dalla potenza del film di Kubrick anche perché il registro era totalmente diverso. Nel film di Eastwood siamo in zona commedia mentre in “Full Metal Jacket” tensione, dramma sono alle stelle come i chiari intenti di denuncia. Tigerland è totalmente incentrato sulla fase di addestramento ed è decisamente un film pregevole. Non lo si prende molto sul serio inizialmente ma ribalda il giudizio quasi subito perché ha dei momenti di grande intensità. La scena in cui Bozz, Paxton e Cantwell pelano patate nella cucina è stupenda. Perché c’è del profondo nelle riflessioni sulla luna (“Non vi colpisce che questa è la stessa luna che risplende su di noi qui e che risplende su quella ragazza che è mia moglie? E’ la stessa luna che risplenderà quando ci manderanno in guerra. E’ la stessa luna che rispenderà su quei poveri ragazzi che moriranno. Non vi colpisce il senso di tutto questo? Noi siamo una piccola parte di tutto. E il tutto è solo merda.” ) che riportano all’universalità dei destini e alla tragica poesia della vita in tutta la sua inutilità e follia.
Tigerland è una preziosa perla antimilitarista prodotta a budget estremamente ridotto e con pochi mezzi, in cui quello che conta è tutta l’idea che regge il film. Non stiamo parlando di un capolavoro ma comunque di un prodotto sincero che vale la pena di essere visto. La recitazione non è particolarmente brillante e durante la visione è come se mancasse qualcosa a livello di ambientazione in una maniera piuttosto sottile. Da quel punto di vista è temporalmente anonima e poco identificabile, non c’è molto che riporti agli anni ’70 e che faccia capire che si tratti di quel periodo, costumi, musiche.. ma è stata una mia impressione.
Tuttavià è sicuramente un difetto trascurabile.
Joel Schumacher è un regista piuttosto incostante, ci aveva deliziati con “Un giorno di ordinaria follia” per poi farci credere che si fosse rincoglionito totalmente con “Batman Forever” e “Batman e Robin” (due cagate micidiali. Ma i capezzoli nei costumi erano realmente necessari?), si riprende un pochino dalla demenza con “8 mm – Delitto a luci rosse” (che mi pare di ricordare non fosse proprio così da buttare nel cesso. Nel senso, dopo “Batman e Robin” non è che ci volesse molto), si risolleva con “Tigerland” e mantiene una certa dignità con “Phone Booth – In linea con l’assassino” (l’idea per me era molto originale) per poi cadere con “Number 23” (che comunque regalava un’inedito Jim Carrey) e proseguire con un paio di robe senza importanza.
Forse è per questo che a volte riesce a stupire.. si tiene i bei film dopo le cagare per farli sembrare ancora più belli se paragonati a certi abomini.
Almeno un film “carino” inizia a diventare “pregevole” oppure a volte addirittura “bello”.
That’s Psychology.
Come al solito non si può che concludere quanto la guerra sia un sistema deumanizzante in cui solo gli psicopatici violenti hanno senso di esistere e vi trovino il loro habitat naturale (ovviamente, perché vengono mandati al fronte per uccidere, quindi il saper cogliere margherite non è un talento contemplato) mentre le anime belle, i poveracci e le brave persone vengono schiacciate da un meccanismo che, al contrario, per loro non ha nulla di naturale.
La guerra è espressione del desiderio di potenza di imbecilli in giacca e cravatta che giocano con la carne tritata.
Che ci vadano loro al fronte.
Giudizio in minuti di sonno. Ho avuto paura di crollare e invece sono stato sveglio dall’inizio fino alla fine.