Seguendo un ordine strettamente sequenziale avrei dovuto fare la recensione de “I fratelli Karamazov” prima di questa. Tuttavia, considerando che non credo di essere riuscito ad apprezzarlo come avrebbe meritato (il momento è quello che è e la mia concentrazione ne risente) e che scrivere la recensione di un’opera di più di 1000 pagine (su cui persone hanno scritto trattatti, tesi, analisi filosofiche e intensi dibattiti) compattata in un post, in cui difficilmente sarei riuscito ad andare oltre le 500 parole, sarebbe risultata piuttosto riduttiva per approfondire adeguatamente il genio russo (e anche quantomai indegna!!), allora ho deciso di soprassedere e andare oltre. Quindi passo al successivo che ho letto e faccio una doppia recensione libro / film di “Drive“.
Ma prima mi concedo un piccolo momento iconoclasta su Dostoevskij con questo due pensieri :
1) riferendosi a “I fratelli Karamazov” pare che Lev Tolstoj abbia affermato <<Non sono riuscito ad arrivare fino in fondo>> (fatto vero, non è una mia invenzione). Io invece l’ho letto tutto e dopo averlo finito credo che sarò in grado di leggere solo le etichette del sapone liquido.
2) Quando ho iniziato “I fratelli Karamazov” ammetto che mi sentivo un attimo dissacrante e in colpa a leggere questa somma opera seduto sul cesso. Poi ho incontrato il personaggio di Smerdjascaja (traducibile come “la fetente”) che diede i natali a Smerdjakov (non voglio nemmeno sapere quale sia la traduzione) e incredibilmente il disagio non solo è sparito, ma è stato sostituito dalle netta certezza di stare facendo la cosa giusta con in mano il libro giusto.
Bene. Le mie cazzate le ho dette. Ora passiamo a “Drive“.
Non pensavo che lo avrei mai detto ma il film mi è piaciuto molto di più del libro anche se, in realtà, hanno poco a che vedere l’uno con l’altro.
“Drive“, il libro, di James Sallis è un brevissimo e cupo romanzo su questo personaggio dai contorni indefiniti che viene sempre chiamato solo anonimamente “Driver”. E’ una figura evanescente. Di lui si viene a conoscere l’infanzia violenta (la madre aveva ucciso a coltellate il padre, alcolizzato ubriacone che lo usava per svaligiare case e negozi) e poco altro perché tutto rimane fumoso. E’ un personaggio in fuga dal passato, dal presente, da sé stesso e non lascia tracce da nessuna parte. Sfuggente, di poche parole, ironico a tratti, chiuso in sé stesso, cerca di tenere un muro tra sé e il resto del mondo. Un solo talento: è un asso al volante. Lavora infatti come stuntman e per questo fa anche l’autista durante le rapine, ma anche in tali circostanze preserva il muro con l’esterno che viene rimarcato dalla sua ferma presa di posizione: “io non partecipo. Non so nulla. Non ho armi. Io guido. Nient’altro.” Questo suo ritiro viene tuttavia turbato, perché qualcuno decide di incastrarlo in una rapina finita male e lui agisce di conseguenza. Vendicandosi senza pietà.
La sua storia viene raccontata a sbalzi temporali sincopati. Lo troviamo in una stanza d’albergo con dei cadaveri, poi con la vicina di casa, poi con i genitori e così via, seguendo salti continui e imprevedibili (ammetto che probabilmente i miei cali di concentrazione mi hanno penalizzato non poco nel riuscire a capire fino in fondo tutta la trama).
Un libro assolutamente godibile e piacevole.
“<< Secondo te, siamo noi che scegliamo la nostra vita?>>
disse Bernie Rose al momento del caffè e del cognac.
<< No. Ma neanche credo che ce la scaraventino addosso. La mia sensazione è che la vita ci filtra sempre da sotto i piedi.>> ”
“Drive“, il film del 2011, di Nicolas Winding Refn, con il sempre sottovalutato (a mio avviso) Ryan Gosling. Il personaggio protagonista è sempre quello di Driver, stuntman che si divide tra il lavoro nell’ambiente del cinema e in quello del crimine. Il libro è ripreso più che altro nello svolgimento generale perché, al contrario, nella pellicola viene data una grande rilevanza alla storia d’amore tra Driver e la vicina di casa. Gosling aggiunge al personaggio note di maggiore malinconia e introversione, il cui sguardo perennemente triste domina per tutta la visione. E’ un uomo innamorato in cui permane il muro di distanza con il mondo, che in questo caso serve anche a celare maldestramente i suoi sentimenti fragili e delicati. Sa essere risoluto e glaciale negli scatti di violenza quanto tenero e affettuoso nella normalità. Vive in una sorta di scissione tra i due mondi separati che trovano incontro solo nella sua interiorità. Quando indossa i suoi guanti per guidare è violento all’inverosimile; fuori da quel ruolo invece cede alla sua sensibilità e lo si può vedere lanciare sguardi amorevoli alla vicina e al figlio. I due mondi convivono l’uno nell’inconsapevolezza dell’altro. Driver è come Giano Bifronte e ha due facce diverse che non si incontrano mai. Tranne nella scena dell’ascensore in cui prima scosta delicatamente la donna per metterla al riparo, la bacia romanticamente e infine massacra a pedate il gangster che era con loro. I due mondi finalmente si incontrano ma sono troppo grandi per essere contenuti contemporaneamente in quell’ascensore. E si annientano rivelando esclusivamente un uomo solo, senza alternative.
Perennemente in fuga da tutto.
Driver è una bestia, ma è anche delicato e pieno di premure.
Nota di demerito per la regia che ho trovato un poco statica e lenta (ed è una cosa che mi fa schiumare) mentre la nota positiva è la colonna sonora che ho trovato piuttosto calzante e anche pregna. Dialoghi scarni ed essenziali, Gosling si riconferma un bravo attore spesso sottovalutato (in effetti l’aver recitato in “Young Hercules” non depone a suo favore), non lo dirò mai abbastanza.
Vedi per esempio “The believer” e “Lars e una ragazza tutta sua“.
Giudizio decisamente positivo per un film che mi ha sorpreso non poco e che temevo fosse la solita americanata del cazzo, rivelandosi invece decisamente pregevole.
Giudizio in minuti di sonno : ho dormito dieci minuti nell’ultimo quarto d’ora del film. Poteva andare peggio.
Vado un pò OT, anche io ho letto un pò di libri di D. (non lo scrivo tutto mi fa troppa fatica e sono in carenza d’ossigeno da pranzo pasquale). Credo che nessuno sia in grado di apprezzare come si deve i romanzi di D. (e in generale dei grandi scrittori, non solo russi), proprio perchè il bagaglio necessario per capirli al meglio richiederebbe altri romanzi, che a loro volta rimandano a altri romanzi, a altri scrittori, e così via….uno li legge e li prende per quello che sono, ottimi libri, ottime storie, e nomi impronunciabili. Aggiungo anche che leggere sulla tazza del cesso è obbligatorio, penso sia l’unico posto decente per leggere in santa pace oggi nel 2013. Riguardo alla recensione, sono daccordo su tutto – anzi non sapevo che ci fose un libro, in caso me lo leggo – con la sola differenza che non ho dormito nel finale, che sencondo me è molto bello.
😀 Mi piace essere dissacrante ma in realtà ho profondo rispetto per tutti gli scrittori (o almeno quelli che possono definirsi tali, quindi Moccia si esclude da solo) e condivido quello che hai detto.
Sul mio dormire sul finale ci tengo a precisare (come ho scritto anche nelle avvertenze) che non è un giudizio sulla bontà del film (che infatti mi è piaciuto un sacco interamente) ma sulle mie difficoltà fisiologiche da un anno a questa parte a stare sveglio davanti alla tv.. qualunque cosa venga trasmessa, di qualunque lunghezza e argomento e indipendentemente dal mio interesse o dalla bellezza oggettiva.. Dormo; e come cinefilo amatore fa veramente incazzare! 😉